La mangio o non la mangio l’ultima fetta? Il caso della Social Mindfulness come processo decisionale.

Ciascuno di noi porta la propria visione del mondo nella propria quotidianità. La Social Mindfulness è la consapevolezza che ci porta a prendere in considerazione l’altro e a non limitarne le possibilità, in questo senso potrebbe rappresentare una presa di coscienza che arreca un vantaggio, o un possibile beneficio, all’altro attore sociale. Tuttavia, risulta molto interessante osservare cosa accade quando la social mind attivata restituisce una rappresentazione del contesto sociale come una realtà ostile e minacciosa. All’estremo opposto del continuum su cui si colloca la Social Mindfulness, la quale ha una connotazione positiva, troviamo infatti la Social Hostility, ossia una rappresentazione ‘ostile’ del contesto sociale che non si esprime attuando un comportamento ostile manifesto, bensì mettendo in atto un comportamento che limita le scelte degli altri (ad esempio, scegliere l’ultima fetta di torta al cioccolato perché voglio fare un torto a qualcuno in particolare). Dunque, un comportamento simile può essere usato strategicamente per esprimere una motivazione ostile nei confronti degli altri, senza esprimere tale ostilità in modo estremo o apertamente aggressivo (Van Doesum, 2016). Le scelte che compiamo, anche quelle che sembrano di poco conto, comportano inevitabilmente delle conseguenze per chi ci circonda e la Social Mindfulness ci dice proprio che le persone tengono in considerazione questa implicazione a livello per certi aspetti inconsapevole: anche le persone meno inclini ad effettuare decisioni orientate all’altro attuano comportamenti pro-sociali quando viene esplicitamente detto che la loro scelta avrà dirette ripercussioni sul campo d’azione di un’altra persona (Mischkowski, Thielmann, & Glöckner, 2018). Tuttavia, il comportamento socially mindful degli individui può variare sia a seconda del contesto sociale che delle informazioni che conosciamo riguardo l'Altro. Un esempio può essere dato dall’appartenenza a determinati gruppi sociali attivando quindi una situazione integruppi. Difatti, nello scenario in cui la caratterizzazione dell’Altro viene effettuata rimarcandone le differenze o la ‘rivalità’, ecco che si ha una reazione in termini opposti alla Social Mindfulness: la social hostility (Van Doesum, Van Prooijen, Verburgh, & Van Lange, 2016). Nelle situazioni che sottolineano la distanza sociale tra il sé e l’Altro è possibile notare come gli individui si trovino a confrontarsi con il contesto sociale e a deliberare in maniera consapevole quale strategia mettere in campo: decidere se essere socially mindful o meno nei confronti di un membro dell’outogroup (Van Doesum et al., 2016). Un recente studio, ad esempio, ha mostrato come l’appartenenza a gruppi sociali di diverso status socioeconomico possa influenzare comportamenti di Social Mindfulness (Van Doesum, 2017). In questo studio, si è osservato che quando i partecipanti svolgevano il compito del SoMi Paradigm, avendo la consapevolezza che dopo di loro lo stesso compito sarebbe stato svolto da un partecipante di status sociale inferiore al proprio, essi manifestavano alti livelli di Social Mindfulness, ossia sceglievano uno tra gli oggetti uguali lasciando la possibilità all’altra persona di mantenere pressoché intatto il novero delle scelte a disposizione. I risultati erano invece opposti per i partecipanti che effettuavano le proprie scelte sapendo che dopo di loro lo stesso compito sarebbe stato svolto da una persona con uno status sociale più alto del loro. In questa condizione, infatti, i partecipanti, preferivano limitare il campo d’azione dell’Altro scegliendo più spesso l’oggetto unico, quello diverso da tutti gli altri (Van Doesum, 2017). Questi risultati sembrerebbero confermare che comportamenti di Social Mindfulness possono cambiare a seconda del contesto sociale di riferimento, dello status sociale e delle appartenenze di gruppo. Inoltre, andrebbero a rinforzare l’assunzione che le tendenze genericamente altruiste degli individui possano variare sia in base a caratteristiche individuali di chi compie le scelte ma anche in base alle caratteristiche della persona che abbiamo in mente quando compiamo queste decisioni, quindi l’ipotetico ‘Altro sociale’.

Volendo presentare un esempio tratto da un fenomeno più ‘comune’, è possibile osservare questo specifico comportamento quando volgiamo l’attenzione alle dinamiche che emergono tra tifosi di squadre rivali. Van Doesum (2016) ha osservato che quando non veniva data alcuna informazione sulla persona con cui i tifosi/e svolgevano il compito SoMi, le tendenze ad operare un comportamento socially mindful rimanevano generalmente alte. Tuttavia, quando il partecipante era consapevole che la persona che avrebbe svolto il compito successivamente era un tifoso/a della squadra rivale, ecco che si osservava un comportamento contrario alla prosocialità della Social Mindfulness, la cosiddetta social hostility. La consapevolezza di star svolgendo un compito con un ‘rivale’ innescava nei partecipanti una ostilità che li portava deliberatamente a selezionare quasi sempre l’oggetto unico, quello diverso da tutti gli altri, limitando quindi costantemente le scelte dell’altro. Questi risultati, dunque, hanno posto in luce quanto le differenze individuali, le nostre preferenze e necessità, risultino oltremodo salienti quando entriamo in contatto un potenziale ‘rivale’.

 

Conclusioni: giocare su un fronte comune

 

Autore/i dell'articolo

Newsletter

Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

Facebook