Due papà, due mamme. Quali riflessioni per sfatare i pregiudizi verso le famiglie e le genitorialità omosessuali?

Famiglie e genitorialità plurali: modelli interpretativi e criteri metodologici

Il discorso sulla famiglia omosessuale va collocato all'interno di più ampie considerazioni inerenti l'attuale fenomenologia dell'oggetto famiglia, ossia le modalità di configurazione ed organizzazione dei sistemi familiari che è possibile osservare nel nostro scenario sociale e culturale. Lo sguardo attento e continuo alle mutazioni che hanno investito il corso delle ultime generazioni, consente, infatti, di rilevare che le odierne costellazioni familiari si presentano come molteplici, integrando ed ampliando il concetto di famiglia nucleare organizzata sul modello della tradizione. Anche i contesti in cui la funzione genitoriale può esplicarsi risultano essere complessi e multiformi per dimensioni, organizzazione interna, funzione. Oggi è possibile rilevare famiglie differenti per struttura, per modalità di articolazione dei processi relazionali interni, per organizzazione delle dinamiche di gestione dei compiti di sviluppo dei singoli componenti e di tutto il sistema, per capacità di attuazione di strategie di coping o resilienza rispetto alle sfide poste dalla contemporaneità (Fruggeri, 2007; 2005a). A livello sociale, il quadro della variabilità delle forme familiari comprende famiglie nucleari, estese, multiple, intatte, separate, ricomposte e ricostituite, famiglie di fatto, monogenitoriali, omologhe o miste dal punto di viste etnico, etc. (Saraceno, 1998; Fruggeri, 2005b; 2005c). E' proprio all'interno di tale multiformità che trova la sua collocazione anche la famiglia omogenitoriale. Sarebbe auspicabile, a livello metodologico, acquisire paradigmi di interpretazione che non tendano più a vedere come devianti quelle configurazioni familiari che non rispondano ad un univoco modello di famiglia ontologicamente definita “per natura”. Superare questa prospettiva implica la sospensione di quel processo che tende a tracciare un’indebita correlazione tra forme familiari e genitoriali "non tradizionali" e disfunzionalità, respingendo nell’area dell’anormalità, della patologia o della marginalità tutte quelle strutture che si discostano da un supposto prototipo universale. La variabilità delle attuali tipologie di famiglia non consente di impostare sistemi di classificazione di tipo valutativo solo sulla base della struttura formale, oppure sulla base del principio secondo il quale la funzionalità sarebbe associata solo ed esclusivamente alla aderenza o meno ad un modello standard. La famiglia nucleare eterosessuale è una delle tante forme d’organizzazione dei rapporti primari possibili, ma di certo non l'unica. Ogni sistema familiare e genitoriale ha un proprio statuto di realtà ed esistenza nel continuum delle variegate configurazioni note. La differenza non produce necessariamente logiche di contrapposizione e reciproca esclusione, ma apre ad auspicabili dinamiche di integrazione e attuabile convivenza. Questo implica la reificazione di una cultura delle differenze che guardi alla pluralità come valore, ricchezza, opportunità, e non come minaccia, disordine, crisi. Una cultura delle differenze che consenta l’accesso alla decostruzione del mito della “famiglia naturale”. Come hanno, infatti, ampiamente dimostrato gli studi di matrice antropologica, sociologica, giuridica e psicosociale, la famiglia, lungi dall'imporsi come un’entità naturale ed universale, si configura come un'istituzione in continuo divenire in stretta relazione con le processualità socio-culturali in cui è inserita; ovvero come un prodotto socio-culturale e storicamente definito, sottoposto a continui processi di modificazione delle sue strutturazioni interne (Cavallo, 2016; Saraceno, 2012). E’ pertato importante riconoscere su questo livello della riflessione, che si scambia per naturale (la famiglia nucleare tradizionale) ciò che è, invece, l’esito di processi di naturalizzazione, ossia della trascrizione dei dati ritenuti naturali (in quanto considerati ovvi e consolidati) entro un ambito di attribuzione di significati che sono culturalmente o ideologicamente determinati (paradigma eteronormativo centrato sull’univocità del modello familiare). Gli esiti di tale prospettiva, in modo più esteso, permettono di rilevare alcune contraddizioni concettuali insite in visioni che tendono a delegittimare le famiglie omosessuali. Qui basti considerare a mò di inciso come rileva Bin (2000), che sostenere, ad esempio, che "la famiglia è una società "naturale" e, ad un tempo, fondata sul "matrimonio" è associare attributi tra loro incompatibili, dato che il matrimonio è un istituto giuridico che non appartiene affatto alle forme "naturali" dell’organizzazione sociale, ma a quelle convenzionali, determinate dalle regole contingenti poste dalla legislazione vigente. Non è affatto "naturale" che la gente si sposi, anche se la maggioranza lo fa (anzi, alcuni lo fanno più volte): è una libera scelta da cui derivano specifiche conseguenze giuridiche" (Bin, 2000, pag. 1068). La connessione tra famiglia e matrimonio non è assolutamente da ascrivere all'ordine naturale, ma al complesso delle processualità socio-culturali. Su questo piano del discorso, la negazione del matrimonio omosessuale così come della famiglia omosessuale non è da riferire ad un incontrovertibile principio naturale, ma deve essere visto come il derivato di convenzioni tese a creare processi di standardizzazione normativa su base ideologica, creando uno scollamento tra il piano reale, ossia il riconoscimento dell'esistenza di fatto delle famiglie omogenitoriali, e quello socio-culturale e giuridico, fondato su codici tesi invece a reiterare il loro disconoscimento.

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