Cooperare sui grandi dilemmi sociali: la psicologia sociale può aiutarci a combattere il cambiamento climatico?

Risolvere i conflitti tra bisogni locali e globali

Un esempio di conflitto tra identità locali e globali è il cosiddetto fenomeno NIMBY (Not In My BackYard, non nel mio cortile). Succede ad esempio quando una comunità locale, che in linea di principio è a favore della tutela ambientale, si oppone all’insediamento di impianti eolici per produrre energia elettrica. Questo fenomeno è stato spiegato come una minaccia all’identità basata sul luogo di vita, minaccia che può essere ridotta attraverso una comunicazione migliore da parte degli sviluppatori. Questi dovrebbero focalizzarsi sul livello dell’identità sociale e ridurre la percezione che il gruppo sia minacciato da cambiamenti all’ambiente fisico locale (Devine-Wright, 2009). Enfatizzare i benefici che la produzione di energia elettrica pulita potrebbe portare avrebbe infatti un effetto positivo sull’auto-stima del gruppo.

Incoraggiare una competizione amichevole tra gruppi locali

Il conflitto tra gruppi locali può essere ridotto se vengono simultaneamente rese salienti sia le identità locali sia quelle sovra-ordinate (Hornsey & Hogg, 2000), senza però cancellare le differenze tra i gruppi al livello locale. Parks et al. (2013) e Van Vugt (2009) sostengono che una competizione intergruppi amichevole può essere usata a fin di bene, come ad esempio una competizione per un premio per la “città pulita”. Amare il proprio ingroup non significa necessariamente odiare l’outgroup (Brewer, 1999): la competizione non deve essere necessariamente ostile, specialmente quando ci sono obiettivi comuni. Questi sforzi potrebbero essere sostenuti da imprese locali come sponsor. Gli amministratori pubblici dovrebbero incoraggiare un senso di orgoglio nella comunità locale, e fornire feedback pubblici dettagliati alle comunità sui loro progressi verso una gestione efficiente delle risorse condivise, come ad esempio sul consumo collettivo di acqua, uso dei trasporti pubblici e della raccolta differenziata, anche in confronto ad altre comunità locali. Come vi sentireste se vi dicessero che a livello nazionale l’87% della carta viene riciclata, ma nella vostra comunità locale la percentuale è solo del 60%. Probabilmente sareste motivati dalla vostra identità a livello della comunità locale  - e da una sana e spensierata competitività – a fare di meglio.

 

Considerazioni etiche

 

Come abbiamo mostrato fin qui, i processi psicologici possono essere sfruttati per influenzare il comportamento. Tuttavia, è importante ricordare che “possono” non significa “devono”. La nostra scelta di influenzare i comportamenti delle persone deve essere etica. C’è sempre il rischio che la conoscenza psicologica sia usata in modo sbagliato, e la storia lo dimostra.

Allora quando è etico usare la ricerca psicologica per influenzare il comportamento? Prima di tutto, quando è etico l’obiettivo, cioè ha un valore di per sé. Ridurre il cambiamento climatico è un obiettivo considerato ragionevole dalla grande maggioranza degli scienziati (il 97% secondo una stima di Doran e Zimmerman, 2009). In secondo luogo, il costo per raggiungere l’obiettivo deve essere ragionevole (Savulescu & Hope, 2010). Le stime dei costi e dei benefici, e della relativa probabilità, dovrebbero essere basate su revisioni sistematiche delle evidenze in letteratura, con unlteriori ricerche (inclusa la stima di modelli) quando la base delle evidenze non è sufficiente rispetto alla gravità dei benefici e dei danni attesi. L’interpretazione più semplice di “ragionevoli” è che i costi dell’intervento siano minimi. Uno standard superiore sarebbe che i costi siano proporzionali ai benefici e siano stati minimizzati. I costi includono la limitazione di libertà, la riduzione dell’autonomia decisionale, l’abbassamento del livello di benessere, e l’aumento di ineguaglianze e ingiustizie. Una politica che implica costi ragionevoli potrebbe essere quella di stabilire la compensazione delle emissioni di CO2 come opzione di default al momento dell’acquisto di un volo. Terzo, dovrebbe esserci trasparenza nella valutazione di costi e benefici, ad esempio attraverso l’accesso libero ai dati utilizzati per stabilire delle norme. Quarto, ci deve essere un monitoraggio continuo degli effetti, insieme alla capacità di rivedere le scelte effettuate attraverso forme di partecipazione democratica. Questo potrebbe ad esempio ridurre i fenomeni NIMBY descritti sopra. Feedback regolari alla popolazione sugli effetti di nuove regolamentazioni, ad esempio sul riciclo e sui sacchetti in plastica, ne sono buoni esempi. Tutte queste condizioni possono e devono essere soddisfatte quando si utilizza la psicologia per cambiare i comportamenti delle persone nel contesto del cambiamento climatico.

 

Conclusioni

 

Le evidenze dalle ricerche sui dilemmi sociali suggeriscono che ci sono circostanze nelle quali noi esseri umani, in quanto esseri sociali, ci comportiamo in modo non egoistico. Molto si può fare per affrontare il problema del cambiamento climatico. Amministratori pubblici e responsabili dell’impresa dovrebbero sfruttare il potenziale delle norme sociali positive, e ricordare che noi rispondiamo al nostro senso di appartenenza ai gruppi a diversi livelli. I processi psicologici – quando accompagnati da soluzioni strutturali e sono implementati in maniera etica – possono aiutarci a prevenire ciò che presto potrebbe diventare un processo irreversibile di distruzione del nostro pianeta e delle sue risorse.

 

Autore/i dell'articolo

Newsletter

Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

Facebook