50 Sfumature di Oggettivazione: Donne e Violenza
L’oggettivazione sessuale ha diverse conseguenze negative sulle donne. Una delle principali conseguenze dell’oggettivazione sessuale è l’auto-oggettivazione, ovvero l’internalizzazione della visione del proprio corpo o di parti del proprio corpo come oggetti (sessuali). La donna oggettivata pone attenzione e tratta il proprio corpo come se lo vedesse con occhi di terzi al fine di piacere agli altri (Fredrickson & Roberts, 1997). Anche in questo caso la relazione con il partner e i media giocano un fattore importante: infatti, le donne che vengono oggettivate dai propri partner e quelle che sono maggiormente esposte a mass media sono coloro che riportano maggiori livelli di auto-oggettivazione (McKay, 2013). Calogero (2012) suggerisce che, spostando l’attenzione sul punto di vista degli altri, la relazione fra personalità e corpo si spezza: solo quest’ultimo resta a identificare la persona in quanto tale mentre tutti gli attributi personali vengono messi in secondo piano.
Tale frammentazione tra il sé e il corpo, insieme all’assunzione del punto di vista esterno, porta le donne a dare molta importanza ai canoni di bellezza proposti dalla società (McKinley & Hyde, 1996). Poiché tali standard sembrano spesso irraggiungibili, le donne tendono a mantenere un controllo costante sul loro aspetto fisico e a vergognarsi del loro corpo laddove esso non rispecchi i canoni proposti, con conseguenze negative quali disturbi alimentari, sessuali o depressivi (Calogero & Pina, 2011; Fredrickson & Roberts, 1997; Jones & Griffiths, 2014; Schaefer & Thompson, 2018; Steer & Tiggemann, 2008).
Il risultato è dunque un circolo vizioso tra un contesto che propone un’immagine oggettivata della donna (Gervais, Vescio, & Allen, 2011), auto-oggettivazione e oggettivazione degli altri (Davidson, Gervais, & Sherd, 2015): la donna si trova ad interagire con persone che oggettivano, oggettiva lei stessa gli altri, e perde la consapevolezza di essere trattata e, di conseguenza, si tratta come un oggetto, guardato e giudicato dal punto di vista di terzi per il loro esclusivo piacere (Fredrickson & Roberts, 1997; McKay, 2013).
Dall’(auto-)oggettivazione alla molestia il passo è breve
Numerosi studi hanno individuato associazioni tra molestie e fenomeni legati all’oggettivazione. La molestia può assumere diverse forme. La forma più estrema è rappresentata dalla violenza sessuale, ossia atti sessuali agiti senza consenso (si veda la definizione del Centro di Controllo e Prevenzione delle Malattie, CDC 2010a). La molestia può anche assumere altre forme: coercizione sessuale attraverso minacce per ottenere favori sessuali; molestia di genere, con comportamenti che offendono un genere specifico (ad esempio commenti sessisti, diffusione di materiale pornografico); attenzioni sessuali non desiderate, che includono commenti espliciti di natura sessuale, occhiate o insistenza nel richiedere un appuntamento (Fitzgerald, Gelfand, & Drasgow, 1995; Fitzgerald & Hesson-McInnis, 1989). A ciò si aggiunge la violenza piscologica, che emerge spesso nelle relazioni di coppia, che comprende abusi verbali, intimidazioni, umiliazioni e stalking (WHA, 1996; CDC, 2010b). Ferraro (1996) accenna a questi fenomeni come se rappresentassero un’“ombra della violenza sessuale”.
In effetti, focalizzarsi sul corpo della donna o percepire una donna come un oggetto induce una maggiore propensione alla violenza o molestia (Rudman & Mescher, 2012; Vasquez, Ball, Loughnan, & Pina, 2018; Wiener, Gervais, Allen, & Marquez, 2013).
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