Teorie del complotto. Cosa può dirci la psicologia?

Non solo non è sempre possibile utilizzare il ragionamento analitico, in quanto non sempre si ha a disposizione il tempo necessario per analizzare approfonditamente tutto ciò che ci circonda, ma in uno studio del 2014 Swami e colleghi hanno anche mostrato come il pensiero analitico non sia sufficiente per promuovere lo scetticismo nei confronti delle teorie del complotto, ma che risulti necessaria anche la motivazione ad essere razionali e basare le proprie conclusioni sulle evidenze empiriche, cosa che non è sempre presente. Perché mai non dovremmo essere sempre motivati/e a basare le nostre azioni e le nostre credenze su un’attenta ed approfondita analisi della situazione? Uno dei motivi principali risiede in quello che è chiamato bias di conferma (Wason & Johnson-Laird, 1972; vedi glossario): le nostre credenze si possono ad esempio formare sulla base di impressioni, di opinioni di altre persone per noi significative e di stati emotivi. Una volta che una credenza si è formata, siamo profondamente orientati/e a mantenere la nostra coerenza. Per esempio, è stato osservato che le persone che non hanno fiducia nei vaccini hanno la tendenza a scegliere messaggi informativi che forniscono spiegazioni complottiste in linea con la loro iniziale opinione (Salvador Casara, Suitner, Bettinsoli, 2019). Inoltre, se da una parte non è sempre presente la motivazione al ragionamento analitico, dall’altra ci possono essere vari fattori motivazionali per credere alle teorie del complotto. Secondo Douglas, Sutton e Chichocka (2017) le teorie del complotto promettono di soddisfare alcuni bisogni motivazionali, di tipo epistemico, esistenziale, e sociale.

 

Bisogni psicologici ed ambiente sociale

Bisogni epistemici. I fenomeni che ci circondano non sono sempre semplici, sono il risultato di una complessa rete di fattori che richiede enorme sforzo ed impegno per essere compresa anche solo parzialmente. Perché il Covid-19 si diffonde così rapidamente? Cos’ha portato al crollo delle Torri Gemelle? Sono tutte domande più che lecite e che richiedono numerose conoscenze specialistiche per poter provare a dare una risposta esauriente, o per cui nemmeno esiste una risposta certa. Tuttavia, anche senza risposte le persone hanno un profondo bisogno di poter dare significato alla realtà (Heider, 1958) e le teorie del complotto forniscono delle risposte semplici e suggeriscono soluzioni. Per esempio, per quanto riguarda il Covid-19, aderire alla teoria del complotto secondo cui il virus non esiste o non è pericoloso, e viene fatto allarmismo per controllare la popolazione, è più semplice che comprendere i complessi meccanismi biologici che ne regolano il funzionamento, ed offre un piano d’azione semplice (arrestare coloro che stanno complottando) ed in linea con dei comprensibili desideri di libertà, in quanto le restrizioni alle libertà individuali non sarebbero necessarie nel caso la teoria del complotto fosse esatta. Sulla base di questa prospettiva, non stupisce che storicamente le teorie del complotto siano fiorite soprattutto in periodi di crisi e grandi cambiamenti sociali (Van Proojen & Douglas, 2017).

Bisogni esistenziali.  Le interpretazioni fornite dalle teorie del complotto non solo promettono di dare un senso di conoscenza, ma offrono anche sicurezza (Kossowska & Bukoswski, 2015). Gli eventi che le teorie del complotto cercano di spiegare hanno infatti spesso a che fare con situazioni che sono minaccianti, basti pensare al proliferare di teorie complottiste che hanno spiegato eventi terroristici come l’attacco alle Torri Gemelle o la presente pandemia, entrambi innegabilmente minaccianti. Le minacce non vengono solo dall’esterno, possono permeare il nostro ambiente, o possono persino collimare con l’ambiente stesso. Per esempio percepire che il sistema sociale in cui si vive sia ingiusto crea uno stress psicologico che automaticamente si è portati a cercare di evitare (Jost, & Hunyady, 2003).  Un altro elemento che suggerisce come le credenze complottiste vengano innescate quando la propria esistenza è minacciata proviene dalla relazione che esiste tra queste e la salienza della morte. Uno studio di Newheiser e colleghi (2011) ha infatti riscontrato come le persone che provavano maggior ansia nei confronti della morte avevano anche una tendenza maggiore a credere in teorie complottiste.

Le credenze complottiste possono fornire delle risposte che promettono di gestire il senso di insicurezza: l’ipotesi di un complotto può farci ritenere che non sia tutto il sistema ad essere problematico ma soltanto un piccolo gruppo che complotta alle spalle della società (Jolley, Douglas, & Sutton, 2018), quindi riducendo e circoscrivendo molto la minaccia, dando la speranza che fermando il complotto la situazione sarà rapidamente risolta.

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