“Non sono razzista ma…” - Le manifestazioni non verbali del pregiudizio etnico
Un aspetto particolarmente interessante relativo alla natura dei nostri atteggiamenti e pregiudizi è che non sempre ne siamo consapevoli: esiste una dimensione esplicita del pregiudizio, che comprende gli atteggiamenti di cui siamo consapevoli e le valutazioni che formuliamo deliberatamente, e una dimensione implicita, ovvero inconsapevole, che comprende atteggiamenti e opinioni sugli altri di cui non siamo consapevoli. Le due dimensioni del pregiudizio si basano, quindi, su processi di pensiero differenti: mentre il pregiudizio esplicito si basa riflessioni consapevoli e volontarie, il pregiudizio implicito si basa su associazioni spontanee e automatiche tra concetti e sfugge più facilmente al controllo consapevole (Gawronski & Bodenhausen, 2006). Le due dimensioni, inoltre, sono spesso dissociate tra loro (Nosek, 2007): la relazione tra pregiudizi impliciti ed espliciti è complessa e una persona può, ad esempio, dichiarare di credere nell’uguaglianza e di non avere un pregiudizio etnico esplicito nei confronti delle persone di colore e, al contempo, non essere consapevole di avere un pregiudizio etnico implicito. In molte ricerche, infatti, le persone che ritengono di non avere pregiudizi nei confronti delle persone di colore, spesso nascondono sentimenti e credenze negative a livello implicito (Dovidio, Kawakami, & Beach, 2001).
Per rilevare la presenza di pregiudizi occorre utilizzare strumenti adeguati a cogliere entrambe le dimensioni: si può chiedere direttamente alle persone di compilare un questionario indicando cosa pensano di un determinato gruppo sociale (misure esplicite) o inferire la presenza di pregiudizio implicito tramite l’utilizzo di strumenti in grado di cogliere le associazioni spontanee tra parole e concetti (misure implicite). Uno degli strumenti più utilizzati per questo scopo è il test di associazione implicita (Greenwald, McGhee, & Schwartz, 1998), creato con lo scopo di rilevare quelle informazioni contenute nella nostra mente cui, però, non abbiamo accesso e di cui non abbiamo consapevolezza. Il test, per i partecipanti, è un semplice compito di categorizzazione di parole e immagini: per misurare il pregiudizio etnico si può chiedere ai partecipanti di associare volti di persone di colore e bianchi a parole positive e negative. Una persona dotata di pregiudizio implicito sarà più veloce nell’associare le persone di colore a parole negative e i bianchi a parole positive piuttosto che l’inverso.
Non è necessario che le persone siano consapevoli dei propri atteggiamenti e pregiudizi perché questi abbiano un’influenza sul loro comportamento: alcuni autori hanno ipotizzato che gli atteggiamenti espliciti influenzino le forme controllate e deliberate di comportamento, mentre gli atteggiamenti impliciti influenzerebbero forme spontanee del comportamento, su cui abbiamo poco controllo e che si manifestano senza consapevolezza o senza richiedere una forma di riflessione, come ad esempio il comportamento non verbale (Chen & Bargh 1997; Dovidio, Kawakami, Johnson, Johnson, & Howard, 1997; Dovidio, Kawakami, & Gaertner, 2002; Wilson, Lindsey, & Schooler, 2000).
La comunicazione non verbale nelle interazioni
intergruppi
Come abbiamo visto, all’interno delle interazioni intergruppi il comportamento delle persone viene guidato dal senso di appartenenza a determinati gruppi e ciò può attivare diverse forme di pregiudizio, che possono manifestarsi, anche inconsapevolmente, a livello di comportamento non verbale.
Lo studio della comunicazione non verbale all’interno delle relazioni intergruppi sta ricevendo, recentemente, sempre più attenzioni perché buona parte del processo di comunicazione è guidato da indizi non verbali (DePaulo & Friedman, 1998). Con l’espressione “comunicazione non verbale” si può intendere “tutto ciò che non è parola”, cioè quegli aspetti del comportamento umano che non sono parte del linguaggio verbale. La comunicazione non verbale può essere definita come la trasmissione di contenuti, la costruzione e condivisione di significati che avviene a prescindere dall’uso delle parole (Bonaiuto & Maricchiolo, 2009).
Come si misura?
Storicamente la misura del comportamento non verbale è stata effettuata tramite l’utilizzo di registrazioni video delle interazioni, codificate a posteriori da parte di giudici, ovvero persone esperte di una particolare tematica: dopo aver registrato l’interazione, i giudici, lavorando in modo indipendente l’uno dall’altro, osservano la registrazione e identificano i segnali non verbali. Viene infine valutato il grado di accordo tra le valutazioni dei giudici. Nonostante i giudici siano esperti che lavorano indipendentemente l’uno dall’altro per giungere a una valutazione condivisa dell’interazione osservata, è facilmente intuibile che questa procedura presenta alcuni limiti: richiede un lungo lavoro di formazione dei giudici, l’osservazione accurata delle interazioni e, infine, le valutazioni ottenute sono comunque soggettive.
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