Editoriale - Special Issue 'Sguardi di Genere'
Siamo in un contesto sociale e culturale che ancora spesso emargina e sminuisce il femminile.
Lo evidenziano bene i tre contributi di questa special issue che vanno a toccare tre aspetti ben noti in ambito accademico, ma ancora poco approfonditi nel discorso pubblico quotidiano sulla parità di genere: il victim blaming, l’oggettivazione sessuale e le differenze di genere nelle cure mediche.
Leggendo gli interessanti ed efficaci contributi di questa special issue per qualche ragione sono affiorati alla mia mente dei proverbi antichi, ma non troppo, che per anni hanno sintetizzato la (NON) saggezza popolare sul femminile. Il linguaggio, come sappiamo, non è neutro, riflette valori, credenze, e paradigmi culturali. E i proverbi, come voce semplificata e antica di una comunità linguistica, non fanno eccezione.
“Dove son donne e gatti, son più parole che fatti”. E di fatto il nucleo della rappresentazione stereotipica di genere assimila il comportamento femminile a quello con cui i luoghi comuni dipingono i gatti: cioè emotivamente inconsistenti e inaffidabili. L’aspettativa radicata nello stereotipo è quindi che le affermazioni delle donne non sono ancorate ai fatti come quelle di un uomo. La conseguenza è che le loro parole e, quindi, il loro punto di vista, hanno un peso molto più leggero quando si tratta di cercare giustizia di fronte alla violenza, o cure adeguate di fronte alla malattia. E questo le mette a rischio di blaming sociale, ingiustizia, incuria come mostrano il contributo di Giovannelli et al. e di Spaccatini et al.
“Tira più un capello di donna che cento paia di buoi”. Il valore e la forza motivazionale di una donna risiedono per lo più nel suo aspetto fisico, questo il secondo nucleo della rappresentazione stereotipica delle donne che emerge in questa special issue. L’esito legato a questo contenuto è che la donna viene frequentemente oggettivata e ridotta a un oggetto di desiderio sessuale, non solo da altri, ma anche da sé stessa. Il contributo di Tallone et al. ben evidenzia il danno psicologico e sociale di questo meccanismo, contribuendo alla comprensione del perché le donne in alcune circostanze si intrattengono in questa condizione.
“Chi dice donna dice danno”. Questa volta il proverbio sessista viene alla mia mente in senso letterale. Sì perché l’essere donna, e il femminile in generale (come ben evidenziano Giovannelli et al.) corrisponde ancora e nei più svariati ambiti qui descritti (il campo medico, giuridico, della opinione pubblica, ma anche quello più intimo delle relazioni erotiche) ad una condizione di svantaggio e vulnerabilità.
E finisco con un proverbio, questa volta, valido per tutti e tutte e oltre gli stereotipi.
“Sapere è potere”. Se la consapevolezza è stata riconosciuta come il primo step per la riduzione dei bias e delle discriminazioni di genere (e.g. Liu et al. 2021), questi contributi rappresentano un importante passo in avanti nella certezza che possano far riflettere e ispirare al cambiamento.
Nascondi i commenti degli utenti
Mostra i commenti degli utenti
Autore/i dell'articolo
Newsletter
Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.