L’uso delle neuroimmagini nello studio della mente: è tutto oro quel che luccica?
Precedentemente ho descritto a livello esemplificativo un piccolo esperimento che tuttavia risulterebbe troppo semplicistico per approdare a dei risultati concreti. Complichiamolo un pochino! Bisogna infatti considerare che durante un qualsiasi esperimento il soggetto è “vivo”, e, in quanto tale, oltre che seguire le istruzioni data dallo sperimentatore, in questo caso premere un tasto di risposta ogni volta che compare un volto sullo schermo, non smette di seguire i suoi flussi di pensieri, immaginando, ad esempio, cosa farà al termine dell’esperimento o agli impegni che ha per i giorni seguenti, oppure ricordando e riflettendo su episodi passati della sua vita, e quant’altro. Dal punto di vista delle attivazioni cerebrali, la concomitanza di tutti questi possibili processi si tradurrebbe nell’attivazione dell’intero encefalo se non usassimo una cosiddetta “condizione di controllo”, una condizione che varia da quella sperimentale (o di interesse) solo per un elemento critico, e per la quale si assume ci sia la stessa variabilità legata al “rumore”, cioè al fatto che il soggetto segue il suo flusso di pensieri. Ad esempio, una possibile condizione di controllo del nostro esperimento potrebbe essere la presentazione di immagini che illustrano utensili (martello, cacciavite, chiave inglese, ecc.). Quindi avremmo una condizione sperimentale costituita da immagini di volti umani ed una condizione di controllo costituita da immagini di utensili. Tali immagini (sperimentali e di controllo) verrebbero presentate alternate in modo casuale così da evitare abituazione e prevedibilità nel soggetto, al quale viene sempre chiesto di segnalare la presenza del volto umano tramite pressione del tasto di risposta. La presenza della condizione di controllo sarà fondamentale a livello di analisi dei dati di neuroimmagini funzionali, che si baseranno su un approccio sottrattivo. Infatti, all’attività emodinamica cerebrale corrispondente alla presentazione dei volti verrà “sottratta” l’attività emodinamica corrispondente alla presentazione degli utensili. Questo permetterà di “rimuovere” (o sottrarre, appunto) tutta la variabilità cerebrale legata al “seguire il proprio flusso di pensieri” durante lo svolgimento dell’esperimento, che si assume sia comparabile tra le due condizioni, lasciando solo l’area o le aree deputate all’elaborazione dei volti (se fossimo invece interessati alle aree che elaborano la categoria semantica utensili allora potremmo eseguire la sottrazione opposta, e cioè visione di utensili “meno” visione di volti). Questo approccio è molto efficace nel perseguire la cosiddetta “specializzazione funzionale” che per definizione porta ad evidenziare in quali processi siano coinvolte singole aree. Tuttavia sempre più evidenze portano a ritenere che anche le attività mentali più semplici si basino su di un’attivazione concertata di reti di aree cerebrali (Raichle, 2015b), e quindi oggi la frontiera più avanzata tende a muoversi dalla specializzazione alla “integrazione” funzionale, cercando di comprendere come più aree dialoghino fra loro per supportare la messa in atto di un processo cognitivo (Raichle, 2015b).
Correlazione non è sinonimo di causazione
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