Razionalità: Variazioni sul tema

Cosa vuol dire essere razionali? Detto con parole semplici, essere razionale significa essere ragionevole o sensato, agire cioè in modi che possano essere spiegati e giustificati sulla base di specifiche motivazioni (Mele, 2003). Questa definizione può andar bene per il linguaggio comune, ma non per quello scientifico. Un filosofo potrebbe notare che definire il concetto di razionalità facendo riferimento ad altri termini che virtualmente hanno lo stesso significato non è altro che un esercizio di tautologia. La tautologia è un errore logico, e gli errori logici sono esempi di irrazionalità. Un biologo potrebbe suggerire che il richiamo alla ragione e alle capacità di ragionamento esclude gli altri animali, le persone molto giovani e quelle molto anziane, e le persone intellettualmente disabili. Ma queste categorie possono davvero essere considerate irrazionali? È impossibile, in realtà, stabilire una linea di confine ben definita tra creature con un perfetto funzionamento (cioè, razionali) e tutti gli altri (Singer, 1993). Il biologo potrebbe anche notare che il riferimento al ragionamento solleva le controverse questioni relative alla coscienza, alla consapevolezza di sé e all’azione deliberata. Nel migliore dei casi, questi concetti possono essere temporaneamente accettati, se si segue l’idea che la saggezza popolare è più avanti della teoria scientifica; nel peggiore dei casi, possono essere considerati varianti del concetto metafisico di libero arbitrio e, quindi, non scientifici (cf. Baer, Kaufman, & Baumeister, 2008). Perché mai qualcuno costruirebbe una definizione di razionalità su un terreno così fragile? 

L’opinione dei psicologi si articola in tre ampie categorie.  Alcuni psicologi trovano noioso il concetto di razionalità e preferiscono dedicarsi allo studio del comportamento e dell’esperienza. Altri si trovano a proprio agio con assunti presi a prestito dalla psicologia popolare (ad es., i concetti di intenzionalità, azione deliberata o responsabilità) e studiano come il comportamento e l’esperienza rispondano a tali assunti. Altri ancora richiedono criteri oggettivi di razionalità che eludano la questione di come le persone ragionano quando preparano una risposta. 

Attualmente, in psicologia, i modelli che postulano l’esistenza di sistemi di pensiero duali sono d’obbligo. Un sistema (“Sistema 1”) comprende i processi di pensiero intuitivi, veloci, e in larga parte inconsapevoli, mentre l’altro sistema (“Sistema 2”) comprende i processi basati su regole logiche, lenti e, almeno in parte, consapevoli (Evans, 2008). A volte viene suggerito che il Sistema 2 è la sede della razionalità, mentre il Sistema 1, condiviso con gli altri animali, è primitivo e inaffidabile. Tuttavia, sembra che anche quelli che sostengono questo approccio non ci credano veramente. Crederci significherebbe regredire ad un modello di razionalità che pianta la sua bandiera sulla vetta di una ragionevolezza soggettivamente esperita. 

La corrispondenza: la credenza che riflette la realtà

I criteri di razionalità suggeriti dagli psicologi che appartengono al terzo gruppo non fanno alcun riferimento alla consapevolezza e ai concetti ad essa associati. Un criterio è quello della “corrispondenza” (Hastie & Rasinski, 1987). Un giudizio è razionale se corrisponde ad un valore di verità stabilito indipendentemente o all’ipotesi più vicina alla realtà. È razionale dire che 2 + 2 = 4. Contando (ad es., fagioli o teste) possiamo facilmente stabilire che 5 non è la risposta corretta. Una domanda più difficile è “Qual è la lunghezza dell’equatore?” la risposta in questo caso non può venire dall’esperienza; si ottiene da studi precedenti e comporta il fatto di affidarsi a fonti competenti. Non tutti sanno la risposta corretta (circa. 40000 km), ma quelli che la sanno “segnano un punto” sia per la conoscenza che per la razionalità; i due aspetti vengono, in altre parole, confusi. 

A meno che un giudizio non sia pienamente azzeccato, la domanda è “Quanto è lontano?” Quanto è grande l’errore dipende dal contesto. Ad esempio, sovrastimare di 5 unità il numero di fagioli contenuti in una mano è un errore più grave che sovrastimare la circonferenza della Terra di 5 km. Quando c’è un sistema di misura con un valore minimo e un valore massimo, ci si può chiedere quanto grande sia l’errore in relazione al massimo errore possibile (Jussim, Stevens, & Salib, 2011). Immaginate di dover indovinare qual è la radice cubica di 2197. È improbabile che arriviate alla risposta corretta (13) senza l’aiuto di un supporto meccanico o elettronico. Allo stesso modo, voi, come molti altri, probabilmente non sapete che la lunghezza dell’equatore moltiplicata per 9.6 corrisponde (in media) alla distanza dalla luna.

Questi problemi ci dicono poco sulla razionalità perché il nostro sistema psicologico non è equipaggiato per affrontarli. La razionalità varia in funzione sia di quanto la nostra mente è acuta sia della difficoltà del problema (Simon, 1990). Ogni giudizio o errore individuale ci dice tanto del primo quanto del secondo aspetto. Le inferenze sulla razionalità della persona o sulla difficoltà del compito si confondono le une con le altre. Per risolvere questo problema, un approccio di ricerca può essere quello di mantenere costante la difficoltà del compito, preferibilmente ad un livello intermedio, e di misurare le differenze individuali nella prestazione. Un approccio più completo è quello di studiare come il tipo di compito e la strategia di pensiero interagiscono per produrre una corrispondenza tra giudizio e criterio (cioè, la verità; Gigerenzer, 2008). 

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