Teorie del complotto. Cosa può dirci la psicologia?

L’altra ipotesi evoluzionista, al contrario, attribuisce un ruolo adattivo anche alle credenze complottiste: bisogna considerare che i processi evolutivi hanno avuto (e stanno avendo) luogo nel corso di milioni di anni e che per buona parte della sua esistenza l’essere umano ha vissuto in piccole società tribali di cacciatori-raccoglitori. In queste società le coalizioni ostili (di fatto dei complotti) erano frequenti e pericolose per la sopravvivenza di coloro che non erano in grado di riconoscerle (Walker & Bailey, 2013). Una maggiore tendenza a credere nei complotti permetteva quindi di percepire più spesso le minacce e agire di conseguenza, affrontare o evitare i pericoli e quindi garantire una maggiore probabilità di sopravvivenza; la sovrastima delle minacce non aveva invece un impatto negativo sulla propria sopravvivenza: percepire complotti quando non presenti, per quanto potenzialmente stressante, non aveva le stesse conseguenze fatali di finire vittima di una cospirazione non individuata. In sostanza, una maggior tendenza a credere nei complotti garantiva un vantaggio evolutivo attraverso comportamenti di cautela verso un maggior numero di minacce e pericoli effettivamente presenti nell’ambiente.

Una delle implicazioni dell’approccio evoluzionista alle teorie del complotto riguarda il fatto che in una certa misura la tendenza a credere nei complotti faccia parte della cosiddetta natura umana; è effettivamente così? In effetti, la tendenza a credere nei complotti sembra essere stabile all’interno dell’individuo e generale (Brotherton, French & Pickering, 2013): più è probabile che una persona creda a una teoria del complotto e più è probabile che creda ad altre teorie del complotto, anche quando queste sono in contraddizione (Wood, Douglas & Sutton, 2012). La propensione a credere nei complotti intesa come una caratteristica di personalità permette di prevedere con una certa accuratezza chi tenderà a credere più facilmente a una teoria del complotto, ma difficilmente ci può spiegare perché ciò avvenga. Per meglio comprendere l’origine delle differenze individuali è quindi opportuno analizzare aspetti cognitivi, emotivi e sociali.

 

Ragionamento analitico e intuitivo

Tutte le persone hanno potenzialità e limiti quando si tratta di ragionare. Le nostre capacità di ragionamento sono lontane dalla perfezione e ci ritroviamo spesso a saltare alle conclusioni, attribuire caratteristiche alle persone sulla base di stereotipi e a svolgere molte delle nostre azioni quotidiane sovrappensiero. Il premio Nobel Kahneman, insieme a Tversky (1974), ha ipotizzato che questo sia dovuto a due diversi sistemi cognitivi presenti in ogni essere umano, il primo sistema (Sistema 1) sarebbe intuitivo, emotivo, rapido e superficiale, mentre il secondo (Sistema 2) sarebbe analitico, freddo, lento e profondo. L’adesione ai complotti sembra essere dovuta proprio all’utilizzo del sistema intuitivo, del resto spesso le credenze nei complotti sono in linea con la propria ideologia politica e con la conferma di precedenti opinioni o con uno stato di ansia (Washburn & Skitka, 2018; Kahan, Jenkins-Smith, & Braman, 2011; Grzesiak-Feldman, 2013). Per esempio, i repubblicani tendono a credere più facilmente che i cambiamenti climatici non stiano davvero avvenendo e che si tratti di menzogne diffuse al fine di ridurre la competitività delle industrie statunitensi (Smallpage, Enders, & Uscinski, 2017), mentre i democratici credono più facilmente a teorie del complotto che sarebbero messe in atto da imprese e multinazionali (Furnham, 2013). Tuttavia, molte teorie del complotto risultano essere estremamente elaborate e portano avanti un elevato numero di argomentazioni, anche se spesso non plausibili, che rendono quantomeno bizzarro immaginare che possano essere frutto di un ragionamento rapido, spontaneo e di natura puramente intuitiva. Come spieghiamo quindi questo apparente paradosso? Tendenzialmente, è richiesto maggior sforzo cognitivo per rigettare le informazioni piuttosto che per accettarle, quindi una predisposizione all’utilizzo del Sistema 2 quando si tratta di acquisire nuove informazioni può rendere più improbabile l’adesione a teorie complottiste, tuttavia, lo stesso sistema permette di difendere con maggiore efficacia le credenze di cui siamo già in possesso. Cosa rende quindi il nostro sistema più attento e riflessivo un impedimento piuttosto che un facilitatore delle credenze complottiste?

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