Uno sguardo psico-sociale sul terrorismo

Oltre agli sforzi orientati alla contro-radicalizzazione, recentemente nella letteratura sul terrorismo è possibile individuare esempi di programmi volti alla de-radicalizzazione e finalizzati all’attivazione di processi di desistenza secondaria, attraverso i quali ri-orientare le convinzioni e i valori che hanno sostenuto l’adesione terroristica e modificare il comportamento degli eversori (Horgan, 2015). Tali strategie devono confrontarsi con molti ostacoli che rendono complesso il distacco degli individui dai gruppi terroristici, quali ad esempio, la paura delle rappresaglie, dell’isolamento da amici o familiari anch’essi coinvolti nelle aggregazioni o della mancanza di nuove reti di sostegno che possano rimpiazzare le precedenti.

Nonostante le grandi potenzialità che si intravedono nei programmi sopra citati, essi devono essere sottoposti ad un’attenta valutazione in grado di dare indicazioni precise su ciò che realmente efficace e ciò che non lo è (Horgan, 2015).

 

Conclusioni

Il terrorismo, a un primo sguardo può sembrare un affare eminentemente politico. In realtà, basta soffermarsi un momento sulle domande più ricorrenti che ruotano attorno all’argomento per rendersi conto che la maggior parte di esse fa riferimento al dominio psicologico. Nonostante siano emerse numerose difficoltà nel comprendere ciò che spinge gli individui ad aggregarsi o a ritirarsi dai movimenti violenti, la ricerca psicologica ha fornito un importante contributo nel delineare con più accuratezza i processi implicati in questo fenomeno. Tuttavia, come sostiene Horgan (2015), i passi da percorrere sono ancora molti e possono essere compiuti solo sviluppando una ricerca sistematica in grado di fornire dati affidabili per la realizzazione di strategie di contrasto che coinvolgano, necessariamente, discipline anche molto differenti tra loro.

  

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