Solo per i tuoi occhi… L’oggettivazione sessuale in un’ottica psicosociale

Talvolta l’auto-oggettivazione si confonde con una cura meticolosa dell’aspetto esteriore, una sorta di generica “civetteria”, vanità o narcisismo. In realtà questa condizione non corrisponde a una (benefica) considerazione del fisico inteso come parte integrante di sé né equivale tout court a un’insoddisfazione per il proprio corpo. Possiamo percepire il nostro corpo principalmente attraverso due modi: come un oggetto composto da elementi singoli ‘‘body-as-object’’ oppure come un processo dinamico‘‘body-as-process’’ le cui funzioni sono più importanti del suo aspetto (Franzoi, 1995). In una condizione di auto-oggettivazione, poiché il corpo è l’elemento privilegiato in grado di rappresentare e descrivere la propria persona, alle domande relative a sé e al proprio corpo quali “Come mi sento? Come sto? Cosa provo?” si sostituisce un’unica, assillante domanda ovvero “Come appaio agli altri?”.

L’auto-oggettivazione può essere sia una caratteristica individuale (che quindi può variare da persona a persona) sia una risposta a delle condizioni presenti nell’ambiente. Le ricerche in quest’ambito distinguono infatti un’auto-oggettivazione di tratto (stabile nel tempo) da un’auto-oggettivazione di stato (temporanea) (Miner-Rubino, Twenge, & Fredrickson, 2002). Con la prima si fa riferimento alla tendenza stabile - ovvero che non necessita di elementi presenti nel contesto per essere attivata - a preoccuparsi per il proprio aspetto fisico e a osservarsi di continuo con gli occhi altrui; la seconda invece si innesca a partire da specifiche situazioni come guardare certi tipi di immagini o ricevere commenti negativi/ apprezzamenti sul proprio aspetto fisico. Più una donna interiorizza il messaggio culturale deumanizzante dell’oggettivazione e più è probabile che l’auto-oggettivazione diventi un’esperienza stabile nel tempo. 

Le conseguenze psicologiche dell’auto-oggettivazione sessuale

L’interiorizzazione dei modelli irrealistici e artificiali di bellezza femminile si associa nelle donne a disturbi dell’immagine corporea, a una generale insoddisfazione per il proprio corpo e a un aumento dei disordini alimentari (si vedano le metanalisi di Grabe, Ward & Hyde, 2008; Groesz, Levine, & Murnen, 2002; Want, 2009). Ma cosa contraddistingue l’esperienza psicologica dell’auto-oggettivazione? Sicuramente uno stato ansioso di ipervigilanza sul corpo a cui si accompagna un senso di vergogna nei confronti dello stesso. Un dato su cui riflettere è relativo, ad esempio, all’età in cui si comincia a sorvegliare il proprio aspetto e si innestano le prime preoccupazioni per la sua s/piacevolezza. Studi più o meno recenti condotti in Europa e in Australia (Ambrosi-Randic, 2000; Dohnt & Tiggemann, 2006), indicano che essa decresce progressivamente e può essere individuata, per le bambine, intorno ai sei anni. Più di dieci anni di ricerche (per una rassegna vedasi, Moradi & Huang, 2008) indicano dunque che il guardarsi con gli occhi altrui ha un impatto negativo sul benessere psicologico.

Percepirsi in funzione unicamente del proprio aspetto fisico influenza non “solo” il benessere ma anche le abilità cognitive di una persona. L’incessante attenzione e controllo rivolte al proprio corpo richiedono infatti un investimento di energie che saranno sottratte ad altre attività. Ciò si evince chiaramente dalle ricerche che hanno adottato il paradigma di ricerca del cosiddetto “costume da bagno”. Ai partecipanti, sia uomini sia donne, si chiede di indossare -da soli, in un camerino con uno specchio a figura intera- un costume da bagno o una maglia, a seconda delle condizioni sperimentali, e di completare poi un test di abilità cognitive. È interessante notare come il risultato del test subisca delle variazioni, a seconda dell’abbigliamento indossato, solo per le ragazze (Fredrickson, Roberts, Noll, Quinn, & Twenge, 1998; Quinn, Kallen, Twenge, & Fredrikson, 2006): queste peggiorano infatti la propria performance quando indossano un costume da bagno. La condizione di auto-oggettivazione innescata da uno stimolo contestuale, indossare un costume da bagno davanti a uno specchio, dirotta l’attenzione sull’adeguatezza del proprio corpo e riduce quindi le energie mentali necessarie a completare il test.

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