Potere mediatico e pregiudizio: I mass-media influenzano la nostra percezione sociale?

Ore 20.00, la cena è quasi pronta, mamma, papà e figli si ritrovano in cucina. La televisione è accesa, in sottofondo iniziano i titoli di testa del Telegiornale di prima serata. “Emergenza Influenza H1N1: Strage di Morti. Evitare i Luoghi Affollati”. I componenti della famiglia vorrebbero far finta di non sentire, ma ascoltano molto attentamente. Un’emozione nella pancia si manifesta, uno stato di allerta che attenua il desiderio di mangiare; un pensiero scorre “non mi sono vaccinato”; un’amara constatazione “forse non è il caso di prendere il treno domani mattina.”

Siamo ad ottobre del 2009, dovremmo ricordare bene l’emergenza mediatica annunciata da tutti i canali di informazione sull’influenza aviaria; il panico che a vari livelli ha colpito molti di noi, dei quali solo una minima parte si è effettivamente ammalata, di una influenza invernale; i decessi che televisioni e giornali denunciavano erano nella maggior parte dei casi imputabili ad altre patologie concomitanti all’influenza. Eppure, sarà capitato a tutti, nell’inverno del 2009, di avere un piccolo sussulto d’ansia di fronte ad un banalissimo colpo di tosse del vicino di posto sul treno o sull’autobus.

Il potere dei mezzi di comunicazione di massa risiede nella capacità di modellare una determinata realtà sociale. Gli spettatori, anche i meno attenti, in qualche misura sono investiti da questo potere, trasferiscono le informazioni mediatiche nella percezione del loro mondo reale (Bandura, 2001). Secondo la Teoria della Coltivazione (Gerbner, Gross, Morgan, Signorielli, & Shanahan, 2002), i mezzi di comunicazione tendono a sovra-rappresentare alcuni fenomeni sociali rispetto alla loro reale incidenza, operando in questo modo una distorsione della realtà. Un’elevata esposizione a tali distorsioni mediatiche si traduce nella percezione che il fenomeno sovra-rappresentato rifletta la realtà del mondo che ci circonda.

Similmente è possibile ipotizzare che gli atteggiamenti nei confronti di alcune categorie sociali, quali gli omosessuali, i musulmani, gli immigrati, possano essere influenzati da un’elevata esposizione a rappresentazioni negative e stereotipate diffuse dai mezzi di comunicazione di massa. Se alcuni gruppi sociali sono frequentemente rappresentati dai media in contesti negativi  pensiamo ad esempio alla sovra-rappresentazione degli immigrati-aggressori in notizie di cronaca (Corte, 2002; Di Nicola, & Caneppele, 2004; Gilliam, & Iyengar, 2000)  “gli spettatori” più assidui tenderanno a formarsi e ad esprimere pregiudizi negativi nei confronti dei membri di tali gruppi, poiché le informazioni che saranno più facilmente accessibili per loro in mente saranno quelle offerte dai media (principio dell’accessibilità; Shrum, 2004).

Le ricerche in psicologia sociale che hanno indagato l’impatto dei mass-media nel modellare gli atteggiamenti inter-gruppo spesso si sono limitate a descrivere come i membri di alcuni gruppi sociali fossero rappresentati dai media, arrivando a volte anche a risultati contrastanti. Esistono invece pochi studi che mettano in evidenza quali siano gli specifici contenuti mediatici e quali siano i processi su cui i media fanno leva così da aumentare o diminuire l’espressione di pregiudizio nei confronti di alcuni gruppi sociali (si veda, per una revisione sull’argomento, Mutz & Goldman, 2010). Inoltre, nella letteratura psico-sociale rimane aperta la questione del rapporto di causalità tra esposizione mediatica e pregiudizio: ovvero se siano le persone con maggiore pregiudizio a seguire in misura maggiore un certo tipo di informazioni mediatiche; o viceversa se siano determinate modalità dei media di fare informazione responsabili di elicitare o diminuire il pregiudizio. Come suggerito da Mutz e Goldman (2010), per ovviare a questi limiti, le ricerche future dovrebbero focalizzarsi su due aspetti: indagare quali siano le specifiche modalità di fare informazione che influenzano il pregiudizio; quali siano i processi psico-sociali attraverso cui i media agiscono nel modificare gli atteggiamenti inter-gruppo.

Stato dell’arte

Passando in rassegna la letteratura psicosociale esistente, è importante annoverare alcuni studi correlazionali (si veda glossario) che forniscono prime evidenze sulla reale esistenza di una connessione tra fruizione mediatica e pregiudizio.

Dixon e collaboratori in diversi studi hanno documentato che gli Afro-Americani sono più spesso rappresentati come criminali rispetto alla loro reale incidenza (Dixon & Linz, 2000); inoltre, hanno dimostrato che un’abituale ed elevata esposizione ai telegiornali rinforza l’attribuzione di stereotipi negativi (ad es., minacciosi, ostili, poveri) ed aumenta la probabilità di atteggiamenti discriminatori verso gli Afro-Americani (Dixon, 2008, 2007; Dixon & Azocar, 2007). Da una prospettiva diversa, alcuni studiosi (Mastro & Robinson, 2000) hanno messo in evidenza che nelle fiction poliziesche spesso i poliziotti mostrano un maggiore uso della forza fisica e sono più aggressivi nei confronti di criminali appartenenti ad etnie minoritarie. Più in generale si è trovato che, all’interno di programmi televisivi americani, i protagonisti mettono in atto comportamenti non-verbali più positivi nei confronti di personaggi bianchi rispetto ai neri (Weisbuch, Pauker, & Ambady, 2009); inoltre, hanno dimostrato che una frequente esposizione a questo errore sistematico non-verbale porta i telespettatori ad avere un maggior pregiudizio implicito (si veda glossario) nei confronti degli Afro-Americani.

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