L’uomo ingranaggio: L’oggettivazione al lavoro

Pochi e più recenti studi hanno seguito una seconda direzione, spostando lo studio dell’oggettivazione a livello interpersonale, ovvero su come la persona oggettivata viene percepita dagli altri. Questi studi hanno documentato che, quando le donne venivano raffigurate in maniera oggettivata, in pose sessuali o mezze nude, i partecipanti (maschi e femmine), rispondendo al compito dello SC-IAT (si veda il glossario), le associavano meno a parole legate al concetto di umanità, rispetto a quando esse venivano presentate in maniera non oggettivata (Vaes, Paladino, & Puvia, 2011). Inoltre, mostrare a partecipanti, maschi e femmine, immagini di una donna in costume, fa sì che le vengano attribuite minori capacità mentali e morali e induce a una minore considerazione della sua sensibilità (Loughnan et al., 2010). In linea con queste ricerche, Heflick e collaboratori hanno dimostrato come il focus sull’aspetto fisico di una persona promuova l’oggettivazione delle donne e non degli uomini (Heflick & Goldenberg, 2009; Heflick, Goldenberg, Cooper, & Puvia, 2011). Ad esempio, in uno di questi studi (Heflick et al., 2011) ai partecipanti, maschi e femmine, veniva fatto vedere un filmato che riprendeva, a seconda della condizione, un reporter donna o un reporter uomo mentre svolgevano il loro lavoro. Inoltre, ai partecipanti veniva chiesto di concentrarsi sulla prestazione o sull’aspetto fisico della persona ripresa. I risultati hanno dimostrato che l’attenzione sull’aspetto fisico della donna promuoveva l’oggettivazione: essa veniva infatti percepita come meno competente, meno calorosa e meno morale rispetto a quando l’attenzione era rivolta alla prestazione. Questo non accadeva per il reporter uomo. 

Recentemente, alcuni studi hanno esplorato il fenomeno dell’oggettivazione allargando il campo di indagine oltre a quello sessuale. In particolare, Gruenfeld, Inesi, Magee e Galinsky (2008) hanno dimostrato come posizioni di potere possano portare alla percezione di individui subordinati come meri strumenti. In questo caso, l’oggettivazione aumentava la tendenza ad approcciare i subordinati esclusivamente in base alla loro utilità in vista di un obbiettivo e indipendentemente dal loro genere e dalle loro qualità umane. Il potere induce, dunque, a instaurare relazioni strumentali indipendentemente dal genere sessuale. L’oggettivazione è, quindi, un fenomeno molto più ampio rispetto a quello che si è studiato in letteratura, un fenomeno che si può estendere ben oltre il campo sessuale.

L’oggettivazione dell’operaio

Nonostante l’oggettivazione dell’operaio sia stata ampiamente analizzata da un punto di vista teorico, gli studi empirici psicosociali sono ancora agli inizi. Il lavoro nobilita l’uomo o lo rende simile a un oggetto? Come viene percepito l’operaio? È effettivamente visto come strumento e non come essere umano?

In una prima ricerca sperimentale Andrighetto, Volpato e Baldissarri (2012) hanno indagato questo fenomeno, mettendo a confronto il lavoro di un operaio impiegato in un sistema industriale complesso (caratterizzato da ripetitività dei gesti, tempi etero diretti, segmentazione del lavoro) con quello di un artigiano (attività in cui il prodotto viene ideato e costruito dall’inizio alla fine dallo stesso lavoratore attraverso diverse fasi). Per verificare che il lavoro fosse effettivamente la causa dell’oggettivazione è stato adattato il paradigma sperimentale dello studio di Heflick e colleghi (2011). In particolare, nello studio di Andrighetto e colleghi (2012) ai partecipanti, a seconda della condizione sperimentale, veniva presentato un breve video che riprendeva un operaio che lavorava a una macchina saldatrice, il cui unico compito era quello di inserire il pezzo da saldare nella macchina, o un video che riprendeva un falegname che produceva una sedia attraverso diverse attività. Ai partecipanti veniva chiesto, a seconda della condizione sperimentale, di prestare attenzione alla persona o al lavoro svolto nel video. Gli autori hanno infatti ipotizzato che, se è effettivamente l’attività dell’operaio a causare oggettivazione, chiedere di focalizzarsi sul lavoro dovrebbe portare a delle percezioni differenti da quelle ottenute chiedendo di concentrarsi sulla persona. Tali differenze dovrebbero però verificarsi solo nella condizione dell’operaio e non nella condizione di confronto dell’artigiano. Successivamente, ai partecipanti veniva chiesto di valutare quanto il lavoratore ripreso nel video fosse secondo loro simile a uno strumento e quanto fosse in grado di provare diversi stati mentali (si veda il glossario), dai più semplici (ad es., sentire) ai più complessi (ad es., desiderare). Confermando le ipotesi, i risultati hanno mostrato che l’operaio – ma non l’artigiano – veniva percepito come più simile a uno strumento e gli venivano attribuite minor capacità mentali quando i partecipanti si focalizzavano sul suo lavoro piuttosto che sulla sua persona. Questo primo studio sembra, dunque, suggerire che il lavoro dell’operaio non nobilita l’uomo, ma anzi sembra renderlo simile a un oggetto. 

Nuovi campi di indagine

Nonostante queste prime prove empiriche, l’oggettivazione in campo lavorativo è un dominio ancora tutto da esplorare. Un passo prioritario da effettuare sarà l’analisi delle differenze fra il fenomeno in ambito sessuale e il fenomeno in ambito lavorativo. 

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