“La malattia fatta persona”. Uno sguardo sulla biologizzazione

I simboli tipici del processo biologizzante possono variare con la cultura, ma il tema comune è il focus ossessivo sul corpo. Il nemico è un contagio in grado di minare la purezza della persona e di provocare disgusto, un’emozione che nella sua accezione tradizionale può essere definita come l’acuto e persistente senso di avversione derivante dalla prospettiva di contatto con prodotti dannosi. Secondo la filosofa americana Nussbaum (2010), il disgusto primario verso certe sostanze tende a diventare disgusto proiettivo, così che tale sentimento si proietta da un oggetto (o da un individuo) all’altro in modi che sfuggono alla ragione e al controllo. La natura “contagiosa” di tale emozione è stata concettualizzata anche attraverso le cosiddette “leggi di magia simpatetica” (Rozin, Millman, & Nemeroff, 1986), secondo le quali se l’oggetto A è disgustoso e B assomiglia ad A o entra in contatto con A, allora anche B diventa disgustoso.

Lo stretto rapporto che lega il disgusto alla biologizzazione e la sua duplice natura di emozione fisica e proiettiva rientrano probabilmente tra le principali ragioni per cui il processo biologizzante risulta così pericoloso per chi lo subisce. In psicologia sociale, diversi lavori (Faulkner, Schaller, Park, & Duncan, 2004; Hodson & Costello, 2007; Navarrete & Fessler, 2006) hanno, infatti, mostrato che tale sentimento è in grado di sfociare in atteggiamenti negativi verso immigrati, disabili e malati mentali. Secondo gli autori, la relazione tra disgusto e atteggiamenti negativi può essere spiegata dalla paura del contagio, dal timore che la causa del disgusto provato per quel gruppo possa in qualche modo proiettarsi su tutto ciò che lo circonda: quando si prova disgusto nei confronti di uno specifico gruppo, la minaccia percepita non è collegata al rischio che quel gruppo potrebbe comportare per le proprie risorse ma, piuttosto, alla paura di essere contaminati (Dalsklev & Kunst, 2015; Horberg, Oveis, Keltner, & Cohen, 2009). Il cuore della biologizzazione sembra, dunque, essere racchiuso nella forza delle metafore biologiche e nell’innata capacità di tali rappresentazioni di evocare disgusto e avversione.

Le conseguenze della biologizzazione

La biologizzazione è stata spesso applicata in ambito politico e il fatto che siano state utilizzate immagini di malattie mortali ha reso la metafora particolarmente penetrante. Ad esempio, i nazisti paragonavano gli ebrei alla sifilide o a un cancro che era necessario asportare. Tročkij chiamava lo stalinismo il “cancro del marxismo”. Oppure, la metafora abituale della polemica araba è che Israele sia “il cancro del Medio Oriente”. Paragonare una situazione a una malattia significa imporre una punizione ed equivale a dire che la situazione è pericolosa. Come sostenuto da Sontag (1978), il ricorso alle immagini biologiche aiuta a prescrivere un trattamento radicale: definire cancro un fenomeno è un incitamento alla violenza e giustifica provvedimenti drastici e severi. Gli organismi portatori di malattie minacciano la “purezza” del corpo e sono, per usare le espressioni dell’antropologa Mary Douglas (1966), sostanze sporche e fuori posto. Attraverso la somministrazione di questionari a un ampio gruppo di persone di diversa età e diverso livello di istruzione, Speltini, Passini e Morselli (2010) hanno mostrato che i concetti di pulito/sporco e puro/impuro si smarcano da una connotazione prettamente concreta e quotidiana, per diventare connotazioni che a livello simbolico e valoriale discriminano gruppi sociali e individui; gli autori hanno, infatti, trovato che una delle dimensioni maggiormente legate al tema dell’igiene è la definizione di pulizia come elemento differenziatore tra gruppi dominanti e minoritari. In tal senso, i gruppi emarginati raffigurati tramite metafore biologizzanti possono essere percepiti come inquinati e inquinanti al tempo stesso. Secondo l’antropologo Remotti (1996), quando una società vuole costruire una propria identità, essa si imbatte nel problema della pulizia, dell’impurità e della contaminazione. La purificazione può, ad esempio, prendere la forma di una pulizia del pensiero, ma anche la forma dell’eliminazione brutale degli altri. Il disordine e lo sporco possono, quindi, essere debellati tramite l’annientamento: estirpare la causa della patologia appare come l’unica soluzione per ripristinare il benessere. Il linguaggio che descrive gli altri alla stregua di virus e bacilli ne giustifica, dunque, la distruzione e questo avviene principalmente grazie alla capacità delle metafore biologiche di impedire ai carnefici l’associazione tra le loro azioni e il concetto di violenza. Il linguaggio simbolico funge, così, da auto-legittimazione ed è in grado di ridefinire un comportamento aggressivo come atto non-aggressivo e giustificato (Bandura, 1999).

Come riportato da Savage (2007), il nemico può essere parzialmente o totalmente privato della propria umanità. Nella deumanizzazione parziale, l’altro, pur trovandosi a un livello inferiore a quello proprio di un essere umano, è ancora percepito come un essere vivente. Nel caso della deumanizzazione totale, invece, il nemico è considerato alla stregua di un numero, di un oggetto privo di autonomia e soggettività. Il primo tipo di deumanizzazione dà origine a ostilità e disgusto, mentre i sentimenti predominanti del secondo tipo sono l’apatia e l’indifferenza. In tal senso, definire gli altri come organismi dannosi li deumanizza parzialmente, considerandoli al pari di una minaccia e rendendoli particolarmente vulnerabili ad atteggiamenti aggressivi e spesso violenti.

 

Autore/i dell'articolo

Parole chiave dell'articolo

Newsletter

Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

Facebook