Il gruppo psicodinamico tra funzione terapeutica e funzione sociale

Resta aperta la questione di quale dispositivo gruppale sia più utile per un certo tipo di paziente. In questa direzione, la ricerca empirica sui gruppi è sempre più mirata a identificare le relazioni fra esiti e processi della terapia con uno specifico tipo di gruppo  (Burlingame, Strauss, & Joyce, 2013).  In particolare, gli studi sugli stili di attaccamento di popolazioni cliniche specifiche (Gullo, Lo Coco, Di Fratello, Giannone, Mannino, & Burlingame, 2015; Kivlighan, Lo Coco, & Gullo, 2012; Lo Coco, Gullo, Oieni, Giannone, Di Blasi, & Kivlighan, 2016) possono essere di grande aiuto, in quanto mettono in relazione le caratteristiche dei singoli membri con la composizione del gruppo nel suo insieme e con gli obiettivi terapeutici. Infatti, mentre in passato si parlava di “indicazioni e controindicazioni alla terapia di gruppo” (con focus: quale tipo di paziente – in assoluto - è adatto per il gruppo?), oggi il cuore del ragionamento è quello di combinare in maniera il più possibile calibrata gli obiettivi terapeutici del gruppo con la composizione dei suoi pazienti (Brabender, Fallon, & Smolar, 2004; Rutan, Stone, & Shay, 2014; Vasta & Girelli, 2018). Si tratta allora di fondare/individuare il gruppo giusto per quel paziente inserito insieme a determinati pazienti. In questo senso, lo sviluppo del gruppo omogeneo monosintomatico (composto da pazienti con la medesima diagnosi di ingresso/domanda di cura sintomatologica) e la progettazione di progetti di cura articolati[2] hanno consentito di curare nel gruppo situazioni tradizionalmente “controindicate”, quali, per esempio, i pazienti con sofferenza dell’area: borderline (Karterud, 2015, 2018); psicotica (Aiello & Ahmad, 2014; Di Leone & Arturi, 2013; Kibel, Correale, Colucci, & Vasta, 2004).

Gli individui che si ammalano di depressione o altro purtroppo si isolano, oggi tuttavia possono avere la falsa percezione di avere relazioni solo perché ne intrattengono alcune virtuali (attraverso l’interazione sui vari social network). Invece la presenza fisica, quale appunto si configura in un gruppo di psicoterapia, consente uno scambio a 360 gradi fra i partecipanti, inclusi i terapeuti, a partire dall’attivazione dei neuroni specchio nel vis à vis del gruppo (Badenoch & Cox, 2013; Rugi, 2004; Schermer, 2013).

Da sottolineare, inoltre, è che nel gruppo psicodinamico si punta a favorire nei partecipanti la trasformazione della rabbia e dell’aggressività in parola. La messa in parola richiede e promuove nello stesso tempo la cooperazione fra i membri per metabolizzare le emozioni provate, dare un nome e un significato ai sentimenti circolanti, attraverso il dispiegarsi di fattori terapeutici quali la coesione

(Burlingame, McClendon, & Alonso, 2011), l’autorivelazione, il già ricordato apprendimento interpersonale, i fattori esistenziali, l’universalità (Yalom & Lezscz, 2005), solo per citare quelli che presentano una più alta qualità sociale.

Nei termini dei fondatori della gruppoanalisi (Foulkes & Anthony, 1957), si parlerebbe di “rispecchiamento” da parte di ciascun membro nei confronti degli altri, intendendo dire che ognuno nel gruppo riceve dagli altri un’immagine di sé, di come funziona nelle relazioni. Ciò attiva a sua volta quell’”effetto catena” che consente al gruppo di affrontare un’emozione/sentimento/problema in maniera condivisa, in cui ognuno possa aggiungere il suo contributo/punto di vista alla riflessione, secondo un approccio che può essere qualificato come comunitario. In termini recenti, si può esprimere questo processo, proprio del lavoro svolto nel gruppo, quale scoraggiamento dell’azione a favore della mentalizzazione delle emozioni e della condivisione dei contenuti (Edel, Raaff, Dimaggio, Buchheim, & Brüne, 2017; Kalleklev & Karterud, 2018).

Tutto questo è reso possibile da un lavoro costante che tenda a promuovere nel gruppo un clima di appartenenza e di buona socialità (Neri, 2014). La sperimentazione  di un livello  autentico di intimità interpersonale consente la fuoriuscita non solo dall’isolamento sociale della malattia ma anche da una visione autoreferenziale della propria sofferenza e della vita in generale.

La ricerca e l’esplorazione di un focus comune ai pazienti del gruppo o alla maggior parte di essi è un tratto distintivo della tecnica di conduzione che si posiziona molto diversamente da un approccio centrato sul trattamento di ciascun individuo in quanto tale nel gruppo.

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