Falchi o colombe? Fiducia e cooperazione nei processi decisionali inclusivi

“Supponiamo che io abiti al pianterreno di un vecchio edificio; sul mio pianerottolo c’è un’altra porta dove abita un altro inquilino. Non lo conosco: ogni tanto sento che esce di casa o che rientra a tarda sera ma non so neppure che faccia abbia. L’amministratore è latitante, non c’è il portiere. Il problema è chi debba pulire il pianerottolo. Posso scegliere fra alcune alternative: a. non occuparmene lasciando che questo spazio diventi nell’arco di 2-3 mesi impresentabile; b. pulire solo davanti alla mia porta sperando che lui pulisca davanti alla sua, ma se lui non lo farà il pianerottolo continuerà ad essere quasi impresentabile, e la cosa mi seccherà molto; c. il prossimo sabato mattina pulire tutto il pianerottolo, e magari anche l’androne, sperando che la settimana successiva lui afferri l’idea e prenda a sua volta il secchio e strofinaccio” (Jervis, 2002, p. 224).

Al protagonista di questa scena si pone un dilemma che attraversa molti ambiti dell'esistenza individuale e collettiva: meglio occuparsi solo di ciò che ci riguarda immediatamente e personalmente (la nostra parte di pianerottolo) oppure gettare lo sguardo un po’ più in là e prenderci cura anche di qualcosa che è dell’altro? Gettare lo sguardo più lontano nello spazio, quindi metaforicamente oltre il me e tutto ciò che sfiora la sfera personale di ciascuno di noi, e nel tempo, oltre il qui e ora. In altri termini, per rifarci alla teoria evoluzionistica dei giochi (Maynard-Smith, 1976): meglio comportarsi da falchi o da colombe? Meglio essere egoisti (in senso tecnico: dare priorità all’interesse personale, vincere o perdere tutto) o cooperare, anche laddove questo possa implicare un costo (pareggiare)?

Il problema – lo si comprende bene nella situazione di condivisione degli spazi comuni – è quello dell’interdipendenza tra i soggetti. La prospettiva dominante nello studio della cooperazione è rappresentata dalla letteratura sui dilemmi sociali, ossia situazioni di conflitto tra interesse individuale e interesse collettivo. La teoria dei giochi, e successivamente la psicologia sociale, hanno studiato i comportamenti di interdipendenza utilizzando il paradigma sperimentale del dilemma del prigioniero, un gioco proposto da Merrill Flood e Melvin Dresher nel 1950 (Kuhn, 2009). L’espressione deriva dal seguente gioco: due sospetti vengono presi sotto custodia e separati. La polizia è certa che essi siano colpevoli di un crimine ma non ha potuto raccogliere prove sufficienti. Viene detto ai prigionieri che hanno due alternative: confessare e o tenere il silenzio. Se entrambi non confesseranno, saranno loro addebitate colpe mai commesse ma di minor conto, e riceveranno una piccola sanzione. Se entrambi confesseranno, saranno condannati, ma riceveranno una pena inferiore al massimo previsto. Se uno dei due confessa e l’altro mantiene il silenzio, il delatore sarà libero mentre l’altro, che ha mantenuto il silenzio, riceverà il massimo della pena. La scelta migliore per entrambi, sarebbe, dunque, quella di non confessare, ma per fare questo dovrebbero accordarsi e, soprattutto, dovrebbero fidarsi l’uno dell’altro. I risultati degli studi condotti utilizzando questo paradigma indicano invece che, nella gran parte dei casi, i soggetti scelgono di sfruttarsi l’un l’altro, cioè di non cooperare. Essi tendono ad adottare, in linea con la razionalità individuale, una strategia egoistica. Questa scelta si rivela, tuttavia, dannosa per l’interesse di entrambi, che si avvantaggerebbero di una soluzione cooperativa, tale cioè da non produrre la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro. Il dilemma illustra, dunque, un conflitto tra la razionalità individuale e la razionalità collettiva, mettendo in evidenza come, se i membri di un gruppo perseguono individualmente il proprio interesse, essi possono ottenere risultati inferiori a quelli che potrebbero essere raggiunti da un gruppo i cui membri agiscano in modo cooperativo.

Tuttavia, anche nei dilemmi sociali possono verificarsi esempi di soluzione cooperativa; Axelrod (1984) ha dimostrato che nelle versioni ripetute o prolungate del dilemma del prigioniero emerge spontaneamente una strategia non intenzionale basata sulla reciprocità, che tende a ribattere “colpo su colpo” (tit for tat) all’azione dell’avversario: l’opzione cooperativa è mantenuta fino al momento in cui l’altro non sceglie la defezione; a questo punto si risponde, per rappresaglia, con un’ulteriore defezione, spingendo l’avversario a riprendere la scelta cooperativa. E’ il principio del rinforzo: la cooperazione è premiata con la cooperazione e lo sfruttamento con un’analoga reazione di sfruttamento; ma è la norma di reciprocità, ovvero l’aspettativa che l’altro ricambi, a porre le basi della cooperazione.

In definitiva, quindi, la teoria dei giochi non riesce a dimostrare compiutamente che l’insorgenza della cooperazione derivi da un calcolo di utilità. L’interazione tra gli individui e le risorse comuni è molto più complessa e varia di quanto tale modello presuma (Schlager, 2002) e, come attestano molti esempi della vita reale, la valutazione costi-benefici non è l’unica a guidare i comportamenti dei singoli e dei gruppi. I fattori che promuovono la cooperazione sono un intreccio di motivazioni altruistiche, norme morali e norme sociali (Elster, 1989), a cui si aggiungono, sul piano strettamente cognitivo, le illusioni derivanti dalla credenza quasi-magica che il proprio comportamento possa determinare le azioni altrui nella direzione voluta (Girotto, 1996).

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