Eroi e principesse: stereotipi e sessualizzazione nel mondo dei videogiochi

Il videogioco che ha fatto della sessualizzazione femminile e della violenza il proprio marchio di fabbrica, unendo rappresentazione sessualizzata e violenza di genere, è sicuramente la serie di Grand Theft Auto (GTA), uno dei giochi più diffusi a livello globale, con oltre 32 milioni di copie vendute dell’ultimo capitolo; complessivamente è il gioco più venduto nella storia. In GTA, il 90% delle figure femminili non ricopre ruoli primari e viene trattato essenzialmente come un oggetto sessuale, spesso target di violenza, ricoprendo un ruolo decorativo rispetto al protagonista che rappresenta invece l’incarnazione della mascolinità tradizionale (Gabbiadini, Riva, Andrighetto, Volpato, & Bushman, 2015).
 Un altro prodotto videoludico che deve la propria fortuna alla rappresentazione sessualizzata della protagonista è la serie Tomb Raider. Lara Croft, la protagonista del videogioco, è una delle più note eroine del panorama videoludico. Lara è dotata di grande intelligenza e agilità fisica ed è spesso indicata come il prototipo dell’immaginario sessuale virtuale maschile, per via delle curve generose e degli abiti succinti che gli sviluppatori del gioco hanno voluto regalarle.

Anche i sistemi di classificazione dei contenuti dei videogiochi – come, ad esempio, la classificazione ESRB (Entertainment Software Ratings Board) – che dovrebbero fornire indicazioni ai consumatori circa i contenuti dei prodotti videoludici e determinare la fascia di età più adatta per l’utilizzo dei videogame – non sempre considerano la rappresentazione oggettivata della donna come un elemento da segnalare. Da un’analisi condotta dall’organizzazione Children Now (2001), emerge che molti giochi classificati come E-rated, ovvero per i bambini dai sei anni in su, contengono scene violente, spesso impunite – come d’altronde accade in tutti i videogiochi violenti – favorendo così l’imitazione di comportamenti preoccupanti.Inoltre in questi videogame i personaggi femminili costituiscono una minoranza e sono rappresentati parzialmente nudi e con forme sproporzionate, sebbene vengano indicati come adeguati ad un utenza infantile dal sistema di valutazione ESRB (Heintz-Knowles & Henderson, 2001).  

Date tali evidenze e data la diffusione sempre crescente dei titoli videoludici, è rilevante indagare quali siano gli effetti dell’esposizione a videogame che propongono una visione sessualizzata della donna.

Gli effetti dell’esposizione a personaggi sessualmente stereotipati

La letteratura scientifica mostra che videogiochi con contenuti sessuali espliciti e violenza di genere possono favorire una maggiore tolleranza alla violenza sessuale (Dill, Brown, & Collins, 2008) e una più elevata accettazione degli stereotipi di genere (Yao, Mahood, & Linz, 2010); inoltre, l’interazione con avatar sessualizzati in ambienti virtuali tridimensionali favorisce comportamenti sessisti (Fox & Beilenson, 2009), processi di auto-oggettivazione (si veda glossario) della donna (Fox, Bailenson & Tricase, 2013) e una maggiore adesione al mito dello stupro (Fox, Ralston, Cooper, & Jones, 2014). In questo studio in particolare, gli studiosi hanno invitato alcune studentesse di un’università ad interagire in uno spazio virtuale attraverso avatar sessualizzati, mentre un secondo gruppo di partecipanti interagiva con avatar non sessualizzati. In seguito, tutte le partecipanti hanno risposto ad alcune domande circa le loro credenze relativamente ad atti di violenza sessuale. Ciò che è emerso è che le ragazze che avevano “indossato” un avatar (si veda glossario) sessualizzato erano maggiormente propense a giustificare atti di violenza sessuale contro una donna, biasimando la vittima di violenza e accettando scusanti per il perpetratore.

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