Dottor Jekyll o Signor Hyde? Il Ruolo della Moralità nella Percezione Sociale

Leach et al. (2007) hanno realizzato diversi studi sui fattori in grado di determinare una valutazione positiva dell’ingroup. In un primo studio gli autori hanno analizzato le valutazioni fornite dai partecipanti in merito alla competenza (ad es., capace e intelligente) alla socievolezza (ad es., amichevole e disponibile) e alla moralità (ad es., onesto e sincero) del proprio ingroup dimostrando che competenza, socievolezza e moralità costituiscono tre distinte dimensioni. Nello stesso studio gli autori hanno chiesto ai partecipanti di indicare in quale misura fosse desiderabile per il proprio gruppo di appartenenza possedere caratteristiche riconducibili alle tre dimensioni. I risultati hanno mostrato che gli individui ritengono più importante e desiderabile per l’ingroup possedere tratti relativi alla moralità. Inoltre, gli autori hanno rilevato come l’identificazione con l’ingroup e il senso di orgoglio di appartenere a tale gruppo sia predetta unicamente dall’attribuzione di tratti morali all’ingroup e non da quelli di competenza o di socievolezza. A conclusioni analoghe sono giunti alcuni lavori realizzati in ambito organizzativo. Al riguardo, Ellemers, Kingma, Van der Bugt e Barreto (2011) hanno intervistato impiegati di numerose aziende chiedendo loro di valutare le organizzazioni di appartenenza e compilare scale di commitment e soddisfazione lavorativa. I risultati mostrano che solo la dimensione morale è in grado di predire l’orgoglio verso la propria organizzazione, la soddisfazione lavorativa, e l’impegno nel lavoro. 

Il ruolo centrale dei tratti morali nel definire la percezione del proprio gruppo emerge anche da lavori che hanno analizzato le condotte intragruppo, ovvero i comportamenti all’interno del gruppo di appartenenza. In una prima serie di studi, Ellemers, Pagliaro, Barreto e Leach (2008) invitavano i partecipanti a intraprendere dei comportamenti al fine di migliorare il basso status del proprio gruppo, che poteva sia essere indotto artificialmente in laboratorio dai ricercatori (dando dei feedback fittizi sulla prestazione dei gruppi in un compito di problem-solving) sia essere preesistente (meridionali vs. settentrionali). I risultati mostrano che i partecipanti tendono ad adottare in misura maggiore un certo comportamento quando questo è definito in termini morali, piuttosto che in rapporto ad altre dimensioni. 

Mentre gli studi di Ellemers e collaboratori (2008) hanno dimostrato la primarietà delle norme morali nel regolare le condotte intragruppo, studi successivi hanno indagato le motivazioni che sottendono tale risultato. Nello specifico, Pagliaro, Ellemers e Barreto (2011) hanno mostrato che gli individui, nell’aderire alle norme morali, prevedono e anticipano psicologicamente rispetto da parte degli altri e acquisizione di una posizione centrale all’interno dell’ingroup. Infatti, all’interno dei gruppi sociali manifestare divergenza rispetto a norme definite in termini morali costituisce una minaccia per l’identità sociale (Tajfel & Turner, 1979) più forte rispetto al manifestare divergenza rispetto a norme definite in termini di competenza (Kouzakova, Ellemers, Harink, & Scheepers, 2012). 

Nel complesso, quindi, a livello di gruppo la dimensione morale sembra svolgere una funzione cruciale nella definizione dell’identità, e nella regolazione della vita intragruppo, consentendo agli individui di distinguere positivamente i propri gruppi di appartenenza (Pagliaro & Di Cesare, 2013). 

La moralità e la percezione di altri gruppi 

La moralità si è dunque rivelata cruciale non soltanto nella percezione interpersonale ma anche nella percezione del proprio gruppo di appartenenza. Rimane da comprendere se la dimensione morale svolga un ruolo primario anche nel modo con cui noi ci rapportiamo ai membri di gruppi diversi da quelli a cui apparteniamo (outgroup). 

In un primo lavoro, Leach, Minescu, Poppe e Hagendoorn (2008) hanno esaminato i contenuti degli stereotipi riferiti a Ceceni e ad Ebrei fra la popolazione russa. I risultati mostrano, analogamente a quanto è emerso per le ricerche di tipo interpersonale, che le caratteristiche di socievolezza e moralità sono distinguibili fra loro. Ispirato da questi risultati, Brambilla (2010) ha chiesto a studenti universitari italiani di indicare in quale misura diversi gruppi sociali – ad esempio tedeschi, meridionali, settentrionali – fossero socievoli, amichevoli, onesti, sinceri, competenti e capaci. I risultati confermano che i gruppi sono diversamente valutati lungo le dimensioni di socievolezza, moralità e competenza. Questi risultati, congiuntamente a quanto emerso dal lavoro di Leach e collaboratori (2007), sottolineano la necessità di distinguere fra le caratteristiche di socievolezza e moralità nell’esplorare i contenuti stereotipici dei gruppi sociali. 

Più di recente, Brambilla e colleghi (2012) hanno investigato l’importanza delle dimensioni di competenza, socievolezza e moralità nel predire le impressioni e le emozioni provate verso gruppi sociali. In tre studi gli autori hanno chiesto a studenti universitari di formarsi un’impressione su un gruppo immigrato a loro sconosciuto. I risultati mostrano che le impressioni globali e le prime risposte affettive sono predette unicamente dalla moralità. Così, il gruppo immigrato era percepito più positivamente quando descritto come morale, sincero e onesto, rispetto a quando descritto come poco onesto e sincero; le manipolazioni di competenza e socievolezza, invece, non avevano alcun effetto sulle valutazioni. 

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