Come rendere più umani gli altri gruppi: Effetti del contatto sull’infraumanizzazione dell’outgroup

Il contatto esteso (Wright et al., 1997) non è l’unica forma di contatto indiretto. Crisp e collaboratori hanno trovato che semplicemente immaginare un contatto positivo con un membro dell’outgroup migliora gli atteggiamenti nei suoi confronti (per rassegne, si veda Crisp, Husnu, Meleady, Stathi, & Turner, 2010; Crisp & Turner, 2012). Questa forma di contatto ha numerosi vantaggi: è poco costosa (è sufficiente chiedere di immaginare un incontro positivo con l’outgroup, senza problemi di costi e organizzazione), semplice da utilizzare (può essere usata anche in contesti segregati) e estremamente flessibile (si può chiedere di immaginare qualsiasi scenario). Vezzali e collaboratori ne hanno testato l’efficacia con bambini di scuola elementare, anche rispetto all’infraumanizzazione. Nel primo studio (Vezzali, Capozza, Stathi, & Giovannini, 2012), si è chiesto a bambini italiani di quarta elementare di immaginare incontri positivi e amichevoli con bambini immigrati. Nello specifico, i bambini erano divisi in piccoli gruppi (composti da 5/6 bambini) che si incontravano una volta alla settimana e, dopo aver immaginato individualmente il contatto con l’outgroup, discutevano collettivamente con la ricercatrice il compito appena svolto. Si sono creati tre scenari: la prima settimana i bambini immaginavano di incontrare l’immigrato a scuola, la seconda vicino a casa propria, la terza al parco. Per verificare l’efficacia dell’intervento, i bambini hanno compilato un questionario una settimana dopo l’ultima sessione (nella condizione di controllo i partecipanti si limitavano a compilare il questionario, senza partecipare a nessun intervento). Si è trovato che i partecipanti infraumanizzavano l’outgroup (assegnavano ad esso meno emozioni secondarie rispetto all’ingroup) nella condizione di controllo, ma non nella condizione sperimentale. Quindi, il contatto immaginato (si veda glossario) è una strategia efficace per ridurre l’infraumanizzazione. Inoltre, la fiducia provata per l’outgroup mediava tale effetto. In altre parole, l’intervento di contatto immaginato portava i partecipanti a provare più fiducia negli immigrati; la fiducia, a sua volta, era associata ad una maggiore attribuzione di emozioni secondarie all’outgroup.

Nel secondo studio (Giovannini et al., 2012), si è condotto un intervento simile a quello precedente con bambini italiani di quarta e quinta elementare. In questo caso, però, i bambini non erano divisi in piccoli gruppi e non discutevano con la ricercatrice quanto immaginato. Inoltre, si è aggiunta una condizione sperimentale di contatto immaginato e identità comune, al fine di verificare se immaginare un incontro intergruppi, quando un’appartenenza di gruppo sovraordinata è saliente, potenzi gli effetti del contatto immaginato (Gaertner & Dovidio, 2000). Nello specifico, in questa condizione, i bambini immaginavano di cooperare con un immigrato come membri di uno stesso gruppo per raggiungere degli obiettivi (ad es.,, vincere una partita di calcio, interpretare una recita scolastica). Si è trovato che immaginare un contatto cooperativo, quando un’identità comune è saliente, portava ad attribuire all’outgroup più emozioni secondarie che emozioni primarie; nella condizione di contatto immaginato classica (senza identità comune) e in quella di controllo, al contrario, i bambini attribuivano all’outgroup più emozioni primarie che secondarie. Tali effetti, tuttavia, sono stati riscontrati solo nei bambini di quinta elementare e non in quelli di quarta; potrebbe essere necessario un livello maggiore di sviluppo cognitivo affinché i bambini traggano vantaggio dagli effetti congiunti di contatto immaginato e salienza immaginata di un’identità comune.

Conclusioni

Nonostante gli studi sulla relazione tra contatto e infraumanizzazione siano ancora pochi, essi dimostrano in maniera chiara che il contato può essere uno strumento efficace per aumentare l’attribuzione di umanità all’outgroup. Gli effetti non si limitano al contatto diretto, bensì sono presenti anche per due forme di contatto indiretto: il contatto esteso (Wright et al., 1997) e il contatto immaginato (Crisp & Turner, 2012). Gli studi presentati mettono inoltre in luce alcuni dei mediatori degli effetti del contatto, in altre parole, fattori che spiegano perché il contatto riduca l’infraumanizzazione. In particolare, si sono individuati sia mediatori di tipo cognitivo (soprattutto, la rappresentazione di comuni appartenenze) sia mediatori di tipo affettivo (emozioni intergruppi: minore ansia, maggiore empatia e fiducia). La ricerca ha anche individuato un moderatore degli effetti del contatto esteso sull’infraumanizzazione: il livello di contatto diretto; in altre parole, si è trovato che il contatto esteso ha effetti più forti sulla riduzione dell’infraumanizzazione quando le persone non hanno sufficienti esperienze di contatto diretto.

È importante sottolineare che, potendo scegliere, un intervento basato sul contatto diretto è preferibile a interventi che si basano sul contatto indiretto. Infatti, le esperienze vissute in prima persona portano alla formazione di atteggiamenti particolarmente stabili e duraturi (Fazio, 1990). Tuttavia, quando il contatto diretto è difficile da realizzare, strategie di contatto indiretto come il contatto esteso e il contatto immaginato possono essere un utile strumento per iniziare a modificare gli atteggiamenti e per preparare le persone al contatto vero e proprio.

 

Newsletter

Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

Facebook