“Come ne esco?”… Le strategie di gestione dell’identità sociale negativa

“No man is an island”.

John Donne, 1624

 

I nostri modi di pensare, le nostre emozioni, il nostro comportamento non sono il frutto di attività isolate, ma derivano interamente dalle relazioni che intratteniamo con le altre persone. L’appartenenza ai gruppi sociali rappresenta un aspetto fondamentale della vita di ogni essere umano, legandosi a bisogni imprescindibili di affiliazione, sostegno e sicurezza (Baumeister & Leary, 1995). Tuttavia, l’appartenenza ad un gruppo sociale non sempre rappresenta un vantaggio e un sostegno in termini individuali, poiché non tutti i gruppi godono di un medesimo grado di rispetto, considerazione e potere all’interno di un determinato contesto sociale. L’ineluttabile gerarchia sociale pone infatti alcuni gruppi in una posizione dominante e ne relega altri ad una posizione subordinata e priva di potere. L’appartenenza a questi ultimi si riverbera negativamente sull’immagine sociale individuale, ponendo i singoli membri in una condizione psicologica difficile, dilemmatica.

Nella vita di tutti i giorni ci troviamo spesso a confrontare la considerazione di cui gode il nostro gruppo di appartenenza con quella di altri gruppi presenti nel contesto sociale, e quando questo confronto non conduce a un risultato positivo subiamo significativi effetti negativi sul piano personale che ci motivano a investire energie nella scelta di appropriate strategie cognitive e/o comportamentali volte al miglioramento individuale o collettivo.

Il presente lavoro inquadra il fenomeno descritto tenendo conto dei risultati di quattro decenni di ricerche basate sulla Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel & Turner, 1979).

L’Identità sociale: Il legame psicologico con il gruppo

A partire dagli anni Settanta, Tajfel e collaboratori iniziarono a mettere in discussione l’idea che i conflitti tra gruppi nascessero soprattutto in virtù di scopi antagonistici, cioè nei casi in cui un gruppo desidera ottenere un risultato che va a scapito di un altro gruppo (Teoria del Conflitto Realistico; Sherif, 1967). L’insoddisfazione verso una spiegazione così deterministica della genesi dei conflitti tra gruppi portò alla nascita di un programma di ricerca (Paradigma dei Gruppi Minimi; Tajfel, Billig, Bundy, & Flament, 1971) teso ad evidenziare le condizioni minime per la creazione di un sentimento di appartenenza a un gruppo e sufficienti a sollecitare l’antagonismo con altri gruppi, indipendentemente dagli scopi specifici. I risultati di questa pionieristica linea di ricerca mostrarono che una semplice divisione in categorie, anche prive di ogni connotazione valutativa, sollecitava la tendenza a favorire i membri del proprio gruppo (ingroup) a discapito di quelli del gruppo esterno (outgroup).

Ma a cosa era dovuto il favoritismo per l’ingroup?

Nella prospettiva della Teoria dell’Identità Sociale, l’appartenenza a uno o più gruppi costituisce una parte importante dell’identità delle persone, l’identità sociale appunto, che si configura come il legame psicologico tra un individuo e il suo gruppo, altrimenti definita da Tajfel (1981/1995) come “quella parte dell’immagine che un individuo si fa di se stesso, derivante dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale, unita al valore ed al significato emozionale attribuito a tale appartenenza” (p. 314). Gli individui generalmente ambiscono ad avere un concetto di sé positivo piuttosto che negativo; poiché, come detto, una parte di questo è legato ai gruppi di appartenenza, si sarà più propensi a vedere tali gruppi sotto una luce favorevole. A questa valutazione si arriva attraverso il confronto sociale (Festinger, 1954), cioè giudicando il valore del proprio gruppo nel confronto con altri. Lo status dell’ingroup (ovvero la posizione relativa del gruppo rispetto ad altri in merito a dimensioni di confronto significative), dunque, determina se il gruppo di appartenenza contribuisce positivamente/negativamente all’identità personale. Ad esempio, in questo momento il sentirsi italiani fornisce un contributo negativo all’identità personale nel confronto con altri paesi sul piano dello sviluppo economico. Tuttavia, se l’Italia vincesse i prossimi Europei di calcio, questa situazione potrebbe ribaltarsi nel sentimento identitario di molti italiani perché il confronto si baserebbe non più sulla dimensione economica quanto su quella sportiva.

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