Attribuire una mente a individui e gruppi

Sebbene in età adulta il default egocentrico possa essere corretto, risorse cognitive permettendo (Kruger, 1999), la nostra percezione della mente degli altri non è sempre accurata. Ciò può dipendere dal fatto che gli stereotipi che abbiamo appreso sono inaccurati o dal fatto che emozioni, desideri, e aspettative guidano la nostra percezione tanto da rendere impossibile decriptare correttamente gli stati mentali altrui. Si pensi alle relazioni romantiche: quando siamo interessati a iniziare una relazione intima tendiamo a sovrastimare le intenzioni amorose nei comportamenti del partner (Vorauer & Ratner, 1996). Quando invece siamo insoddisfatti nella relazione, tendiamo a sovrastimare le intenzioni ostili nei comportamenti del partner (Schweinle, Ickes, & Bernstein, 2002). 

I moderatori della percezione di mente sono coerenti con un modello di ancoraggio egocentrico e successivo aggiustamento. È più probabile che ci affidiamo ad una prospettiva egocentrica quando attribuiamo una mente a persone che percepiamo come simili a noi piuttosto che diverse da noi: un processo chiamato “proiezione sociale” (Krueger, 2007; si veda glossario). Inoltre, le persone che vivono in culture che enfatizzano la prospettiva dell’altro (cioè, le culture collettivistiche) sono più abili a superare il default egocentrico, rispetto alle persone che vivono in culture che enfatizzano il sé (cioè, le culture individualistiche) (Wu & Keysar, 2007).

Mente, simpatia, e gruppi

Forse non vi sorprenderò dicendovi che troviamo più facile considerare la mente delle persone che ci piacciono (McPherson-Frantz & Janoff-Bulman, 2000). Ciò può derivare sia da un effetto di familiarità sia da attribuzioni positive (Malle & Pearce, 2001): in ogni caso, siamo più motivati a credere che le persone che ci piacciono abbiano maggiori capacità mentali. Ad esempio, Kozak, Marsh, e Wegner (2006) hanno condotto una serie di studi per verificare se la simpatia influenzasse la percezione di mente: i partecipanti leggevano un brano che parlava di Mike, uno studente immaginario descritto, a seconda della condizione, in modo da indurre simpatia oppure antipatia; poi valutavano Mike sulla base delle affermazioni presentate in una scala costruita ad hoc: la Mind Attribution Scale misura quanto un target sia in grado di provare emozioni, cognizioni, e intenzioni. Come ipotizzato, il Mike simpatico riceveva maggiori punteggi di mente in tutte e tre le dimensioni. In uno studio successivo, si manipolava la sofferenza del target. I partecipati leggevano la storia di Mike, uno studente che stava affrontando delle difficoltà economiche e sociali. La storia aveva due finali diversi: uno che portava all'aggravarsi delle condizioni e a una forte sofferenza, l'altro era un finale positivo. I risultati mostrano che il Mike sofferente era meno gradito di quello con finale positivo. Inoltre, al Mike sofferente venivano attribuite meno intenzioni e cognizioni. Quest’ultimo risultato apre una riflessione su una possibile natura difensiva della dementalizzazione: alcune ricerche hanno mostrato come il dolore di vittime o entità che soffrono possa essere sminuito negando le capacità mentali (Castano & Giner-Sorolla, 2006; Loughnan, Bratanova, & Puvia, 2012). Infatti, se un soggetto non possiede la mente non ha la capacità di sentire il dolore, e ciò ci libera dallo stress che deriva dalla consapevolezza dell’altrui sofferenza (Bandura, Barbaranelli, Caprara, & Pastorelli, 1996). 

Non vi sorprenderò nemmeno dicendovi che troviamo generalmente più simpatici i membri dei gruppi a cui apparteniamo (ingroup) rispetto ai membri di altri gruppi (outgroup). Immaginate di essere in un treno, siete stanchi e ci sono solo due posti liberi, equidistanti: accanto ad uno, c’è un ragazzo bianco, accanto all’altro, un ragazzo nero. Dove andrete a sedervi? Questo effetto viene chiamato dagli psicologi sociali ingroup favoritism bias: una tendenza sistematica a preferire e favorire i membri dell’ingroup rispetto a quelli dell’outgroup, che si esprime in valutazioni positive, allocazioni di risorse, desiderio di contatto, e molti altri modi (Hewstone, Stroebe, Jonas, & Voci, 2010; Hogg & Vaughan, 2012). Si attribuisce anche più mente all’ingroup che all’outgroup? Sebbene la ricerca sul tema sia ancora ad uno stadio iniziale, si può dire che gli individui attribuiscano all’ingroup più emozioni complesse (Leyens et al., 2007) ed alcuni stati mentali tipicamente umani (Haslam, 2006), che all’outgroup. I membri dell'outgroup possono essere associati ad animali con ridotte capacità mentali (Boccato, Capozza, Falvo, & Durante, 2008; Capozza, Boccato, Andrighetto, & Falvo, 2009). Inoltre, i membri di gruppi estremamente negativi (ad es.,, tossicodipendenti e homeless) non attivano la corteccia prefrontale mediale (Harris & Fiske, 2006), una regione cerebrale coinvolta nell’attribuzione di mente. Infine, quando l’attenzione è focalizzata sul corpo di una persona, a questa sono attribuite meno capacità mentali, un fenomeno chiamato oggettivazione (Loughnan et al., 2010). 

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