Altruisti, cooperativi e morali: Perché è più facile esserlo domani che oggi

Un portafogli smarrito e ritrovato. Una donazione ad un ente che si occupa di ricerca sulle malattie degenerative. Una tangente non accettata. Un divorzio che si conclude senza il ricorso al tribunale. Alla base di tutti questi eventi vi è la tendenza umana a cooperare, ad essere altruisti e ad appellarsi a dei principi morali che permettono di mettere da parte il proprio interesse personale a vantaggio del bene comune. Sebbene concettualmente diversi, altruismo, cooperazione e moralità possono essere raggruppati sotto il cappello concettuale del comportamento prosociale che, in un’accezione molto ampia, può essere definito come il comportamento teso ad apportare dei benefici agli altri (Penner, Dovidio, Piliavin, & Schroeder, 2005). La prosocialità gioca un ruolo molto importante in una molteplicità di relazioni interpersonali, consentendo di risolvere costruttivamente i conflitti, di stabilire relazioni basate sulla fiducia e sulla reciprocità fino ad arrivare alla promozione della stabilità sociale e dell’evoluzione della specie (Axelrod, 1984). 

Le persone attribuiscono estrema rilevanza alla disponibilità degli altri a cooperare ed a comportarsi in modo equo e moralmente giusto. Il proprio gruppo di appartenenza, ad esempio, viene valutato in base alla sua moralità piuttosto che alla competenza (Leach, Ellemers, & Barreto, 2007). Inoltre, gli individui possono sanzionare atti non cooperativi anche quando questi ultimi non arrecano loro danno e l’attuazione della sanzione implica un elevato costo personale (Fehr & Gächter, 2002). Eppure, nonostante i meccanismi di valutazione e punizione, risulta subito evidente come la prosocialità e la cooperazione lascino, troppo spesso, il passo a comportamenti votati al puro interesse personale o alla cieca competizione, anche a fronte della trasgressione delle norme basilari del vivere civile come nel caso delle truffe, della pirateria stradale o della ben più comune evasione fiscale. 

Date le importanti implicazioni, comprendere cosa possa favorire o ostacolare i comportamenti prosociali è un compito fondamentale delle scienze sociali e, più in particolare, della psicologia. Nel presente contributo presenteremo i risultati delle ricerche che hanno messo in luce come la distanza psicologica (si veda glossario) dagli oggetti o eventi che valutiamo possa promuovere o, in alcuni casi, ostacolare la propensione alla prosocialità. Per comprendere come la distanza psicologica possa assumere un ruolo particolarmente importante bisogna immaginare quali sarebbero le differenze nel nostro comportamento se dovessimo decidere di evadere le tasse tra un anno o tra un giorno, se dovessimo entrare in conflitto con un persona che vive a 6.000 km di distanza o nel nostro quartiere, se dovessimo valutare la moralità di una persona estranea o familiare, se dovessimo prestare aiuto a qualcuno rispetto ad una problema che accadrà sicuramente o improbabilmente. 

La ricerca ha mostrato come ognuna di queste quattro dimensioni di distanza psicologica (temporale, spaziale, sociale, probabilistica) influenza le nostre tendenze prosociali. Di seguito, introdurremo in breve il concetto di distanza psicologica secondo la Construal Level Theory (CLT, Liberman, Trope, & Stephan, 2007; Liberman & Trope, 2008; Trope & Liberman, 2010). In seguito vedremo perché e come la distanza psicologica promuove il comportamento prosociale e quali sono le possibili eccezioni a questo effetto. 

La Distanza Psicologica e Construal Level Theory

La distanza psicologica può essere definita come la distanza dall’esperienza diretta. In altre parole, quando un oggetto non è presente nel qui e ora, esso non è accessibile all’esperienza diretta ed è quindi psicologicamente distante. Come accennato precedentemente, la CLT distingue quattro dimensioni di distanza psicologica. Un oggetto o un evento, infatti, possono essere collocati lontani nel tempo o nello spazio, riguardare una persona lontana o essere improbabili. In ognuno di questi casi l’oggetto o evento valutato non può essere oggetto di esperienza diretta e la conseguente mancanza di informazioni dettagliate e concrete porterà ad adottare un alto livello di construal (si veda glossario) dell'oggetto, cioè a creare rappresentazioni molto astratte e schematiche, poco influenzate dagli elementi di contesto, in cui vengono inclusi solo gli elementi più tipici e distintivi dell’oggetto valutato. Al contrario, poiché generalmente numerose informazione concrete e di dettaglio sono disponibili quando abbiamo esperienza diretta degli oggetti, si tende ad adottare un basso livello di construal quando ci si sofferma su eventi psicologicamente vicini. Si verranno quindi a formare rappresentazioni mentali molto più dettagliate, meno schematiche e basate sugli elementi di contesto in cui verranno inclusi anche aspetti meno tipici dell’oggetto o situazione valutata. 

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