Ageism: Quando l’Età Apre la Strada ai Pregiudizi

Stereotipi e Prescrizioni Intergenerazionali

Mentre gli stereotipi descrittivi (si veda glossario) sono basati sul consenso sociale e spesso fatti propri anche da coloro che ne sono l’oggetto, gli stereotipi prescrittivi (si veda glossario) sono assunti soprattutto da gruppi esterni che si percepiscono interdipendenti con il gruppo target dello stereotipo.  Tutti i gruppi d’età sono interdipendenti, ma una ricerca ha mostrato che gli stereotipi prescrittivi degli anziani sono assunti con più forza dai giovani che dagli adulti perché i giovani pensano che il raggiungimento dei loro obiettivi dipenda in gran parte dai comportamenti degli anziani (North e Fiske, 2013b). Questo tipo di ageism ruota intorno a tre concetti (North e Fiske 2013c). Il primo è quello di consumo: alcune ricerche condotte negli Stati Uniti hanno mostrato che i giovani considerano gli anziani come consumatori passivi delle risorse comuni, non solo perché spesso necessitano di onerose cure mediche che pesano sul bilancio pubblico ma anche perché a loro sono concesse agevolazioni sociali di vario tipo (tariffe ridotte, posti riservati, minori tempi di attesa, ecc.). Il secondo concetto è quello di identità. I giovani sono motivati a mantenere ben chiari i confini tra le generazioni (Schoemann & Branscombe, 2010): gli anziani non devono cercare di apparire giovani, assumere comportamenti o appropriarsi di luoghi prettamente giovanili – frequentando social network, happy hour o altro. Il terzo tipo di ageism si basa sul concetto di successione: l’ostilità nei confronti degli anziani nasce dall’opinione che dovrebbero cedere il passo, lasciare spazio ai giovani, mentre al contrario non mostrano l’intenzione di abbandonare le posizioni e le risorse desiderabili che ancora detengono. In una serie di esperimenti, North e Fiske (2013b) hanno rilevato che l’ageism dei giovani scompare quando le persone anziane assumono comportamenti concordanti con le prescrizioni dello stereotipo. Rispetto agli adulti i giovani sono risultati maggiormente polarizzati nei confronti degli anziani, punendoli di più se violano le prescrizioni e premiandoli di più quando vi si adeguano. 

Un Caso: Il Mondo del Lavoro

Il lavoro è uno dei contesti in cui l’ageism verso gli anziani è più accentuato e in cui è più forte la discriminazione. Inoltre, in molti ambienti lavorativi si è considerati anziani precocemente e gli stereotipi negativi e le relative conseguenze colpiscono persone che sono ancora nel pieno delle loro forze. Due ricerche lo illustrano chiaramente. Nella prima, condotta in Svizzera (Krings, Sczesny & Kluge, 2011), si è visto innanzitutto che rispetto ai più giovani, i cinquantenni sono considerati meno competenti ma più caldi, in linea con lo stereotipo dell’anziano (Studio1); inoltre, in due successivi esperimenti – il primo con studenti di una business school, il secondo con professionisti delle risorse umane – si è rilevato che, dovendo selezionare il candidato per un posto di lavoro, non si tiene conto dell’aspetto positivo di quello stereotipo, il calore. In entrambi gli studi si è mostrata ai partecipanti un’inserzione che offriva un impiego in un’agenzia di viaggio – un lavoro precedentemente individuato come neutro dal punto di vista dell’età. E’ stato poi richiesto di valutare i curricula di due candidati, uno di 29 e uno di 50 anni, molto simili per preparazione e competenza. I ricercatori hanno verificato una costante preferenza per il più giovane indipendentemente dal fatto che il lavoro fosse descritto nell’inserzione come task-oriented – un incarico di tipo amministrativo con scarse relazioni interpersonali – o fosse messa in rilievo l’importanza del calore descrivendo il compito come person-oriented (capacità di lavorare in team, di relazionarsi con altri settori). In sostanza, la parte negativa dello stereotipo ha preso il sopravvento risultando più robusta e annullando i possibili effetti di quella positiva.

In un’altra ricerca, basata su un grosso campione reperito via web (Lindner, Graser & Nosek, 2014), si è constatato ancora una volta che nella scelta tra due candidati per una posizione lavorativa – che in questo caso era descritta in termini che richiamavano lo stereotipo giovanile (innovativa, alla moda) – la persona più anziana era discriminata. Più interessante è che la discriminazione si è verificata sia quando ai valutatori è stata resa saliente la percezione di se stessi come prevenuti sia quando è stata resa saliente la percezione di se stessi come obiettivi, e anche quando è stata ricordata (vs.non ricordata) la norma sociale di equità, ossia la proibizione di discriminare sulla base dell’età, del genere ecc. La presenza della norma di equità, se non ha alterato la scelta, ha però migliorato la valutazione di entrambi i candidati e cambiato la percezione delle persone circa il criterio da loro usato per decidere: è aumentata la loro percezione di essersi basati sull’expertise del candidato ed è diminuita l’importanza percepita dell’età. In altre parole, la norma di equità ha aumentato la motivazione dei valutatori a rispondere in modo imparziale ma non la loro capacità di identificare e correggere il proprio ageism. 

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